In centomila a pregare con il Papa
«La guerra segna sempre una sconfitta per l'umanità», è «un fallimento», «porta solo morte» e «parla di morte». È il grido che papa Francesco ha lanciato ieri sera durante la veglia di quattro ore per la pace in Siria e in Medio Oriente, da lui indetta a piazza San Pietro. Centomila persone - secondo dati della Questura e della Prefettura vaticana - hanno pregato con lui, in una cerimonia segnata da lunghi silenzi, da letture bibliche, da canti liturgici, da litanie, in un clima di grande raccoglimento e compostezza. Niente bandiere, slogan, tifo da stadio nel crepuscolo davanti alla Basilica vaticana
«La guerra segna sempre una sconfitta per l'umanità», è «un fallimento», «porta solo morte» e «parla di morte». È il grido che papa Francesco ha lanciato ieri sera durante la veglia di quattro ore per la pace in Siria e in Medio Oriente, da lui indetta a piazza San Pietro.
Centomila persone - secondo dati della Questura e della Prefettura vaticana - hanno pregato con lui, in una cerimonia segnata da lunghi silenzi, da letture bibliche, da canti liturgici, da litanie, in un clima di grande raccoglimento e compostezza. Niente bandiere, slogan, tifo da stadio nel crepuscolo davanti alla Basilica vaticana.
Tra la folla di presenti vi era un migliaio di musulmani, per lo più siriani, i quali tuttavia, anche nel momento destinato alla riconciliazione, hanno preferito dividersi in due raggruppamenti, i filo-Assad e i sostenitori dell'opposizione. Hanno occupato due posti diversi della piazza, pur esprimendo un «no» comune ad un attacco americano. In una decina poi, al di fuori delle transenne che delimitano l'emiciclo vaticano, hanno recitato ad alta voce versetti del Corano, unendosi così alle Ave Maria e al Padre Nostro del grande popolo cattolico, in una commistione di riti rara, forse inedita, all'ombra del Cupolone.
Quello di Francesco è stato un discorso di forte impronta spirituale, legato agli intendimenti di preghiera e digiuno per la pace. Un papa particolarmente concentrato, quasi schiacciato dal peso dell'angoscia per quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni, ha parlato dell'armonia del Creato voluta da Dio e del caos scatenato dall'uomo che «alza la mano contro il suo fratello per ucciderlo». Ovvero dai tanti Caini di ieri e di oggi. Non ha fatto alcun riferimento al progetto del presidente Usa Barack Obama di punire con un attacco militare il presunto uso di armi chimiche da parte del regime siriano. «È possibile - però si è chiesto - percorrere un'altra strada?», diversa da quella della guerra. «Possiamo uscire da questa spirale di dolore e morte?», ha domandato, aggiungendo a braccio «penso ai bambini, soltanto a loro...». «Sì, è possibile per tutti», ha risposto Francesco, con un'espressione che ha ricordato molto quel «Yes, we can» della prima presidenza Obama. «Questa sera - ha detto Bergoglio - vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: sì, è possibile per tutti». «Perdono, dialogo, riconciliazione - ha concluso - sono le parole della pace: nell'amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo».
Ad ascoltare la sua voce, in piazza San Pietro, erano presenti diversi politici e rappresentanti delle istituzioni italiani. L'appello alla preghiera e al digiuno di Francesco per la pace in Siria è stato seguito un po' in tutto il mondo. Non solo tra il miliardo e duecento milioni di cattolici del pianeta, ma anche tra le altre fedi. Si è unito all'iniziativa del Papa il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, guida spirituale dei cristiani ortodossi, ed anche il Gran Muftì di Siria, Ahmad Badreddin Hassod, che ha pregato nella maestosa moschea omayyade di Damasco.
Prima della cerimonia di San Pietro, nel pomeriggio, in uno dei suoi soliti «fuoriprogramma», Bergoglio aveva incontrato un gruppo di fedeli e, prendendo in prestito un microfono del Tg5, aveva tra l'altro detto loro: «Se non ci rivediamo qui, ci vedremo in Purgatorio».
Più tardi, a San Pietro, avrebbe parlato dell'inferno della guerra, rimanendo fino a tarda sera con il suo popolo, nella speranza di accedere le luci della speranza. Come recita il Talmud, l'ora più buia è sempre quella prima dell'alba.