Cinesi sfruttati a Prato, è omicidio plurimo
Omicidio colposo plurimo, disastro colposo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di mano d'opera clandestina. Per la morte dei 7 lavoratori cinesi carbonizzati e il ferimento di altri tre nel rogo della ditta-dormitorio di via Toscana Macrolotto, alla periferia di Prato, la procura ipotizza questi reati. Indagine che si profila complessa, perché - sottolinea il capo della squadra mobile Francesco Nannucci - «molte persone sono reticenti»
Omicidio colposo plurimo, disastro colposo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di mano d'opera clandestina. Per la morte dei 7 lavoratori cinesi carbonizzati e il ferimento di altri tre nel rogo della ditta-dormitorio di via Toscana Macrolotto, alla periferia di Prato, la procura ipotizza questi reati. Indagine che si profila complessa, perché - sottolinea il capo della squadra mobile Francesco Nannucci - «molte persone sono reticenti».
Le fiamme si sarebbero sprigionate dall'angolo in cui era stato allestito il cucinino, fornelli per cucinare e stufette elettriche per riscaldarsi nel grande laboratorio, su una superficie di circa 50 metri per 25 e il soffitto alto circa 7, dove dieci o forse più lavoratori dormivano su un soppalco, nei loculi ricavati con cartone e cartongesso. Di certo, oltre le 7 vittime e i 3 feriti (due gravi all'ospedale Nuovo di Prato) e una donna già dimessa, nel capannone c'era una coppia con un bambino. Hanno preso in braccio il piccolo e sono fuggiti via. Ora si fatica anche a capire chi sia il titolare vero (e non il solito prestanome) di «Teresa Moda». Ma entro oggi la procura potrebbe indagare due o tre persone, i reali gestori della ditta.
In una lettera al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha chiesto «interventi concertati a livello nazionale, regionale e locale per far emergere da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico».
Ma è il quadro d'insieme che emerge da questo dramma a lasciare senza parole: un mondo parallelo fatto di di lavoro nero, zero norme di sicurezza, condizioni di schiavitù. Il procuratore capo Piero Tony non nasconde il senso amaro di impotenza: «Ci sentiamo spesso impotenti. I controlli sulla sicurezza e su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l'impegno di tutte le amministrazioni e delle forze dell'ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi come struttura burocratica - ha spiegato il procuratore - siamo tarati su una città che non esiste più, una città di 30 anni fa. Ci sono 30 etnie in quest'area, la maggiore densità di imprenditoria a marca straniera, la prima in Italia. È successo quello che si poteva ampliamente prevedere o comunque era da temere».
E i controlli non bastano.«Chiudiamo da una parte, sequestriamo capannone e macchinari e quelli aprono più in là», dice il sindaco Roberto Cenni. In quattro anni, spiega il procuratore Tony, sono state sequestrate 600 sedi di ditte. Luoghi di produzione abiti o vendita all'ingrosso con annessi dormitori di loculi dove adulti, donne e uomini, lavorano fino a 14 ore al giorno e dove dormono con i loro bambini. «Condizioni di vita terribili» le definisce il pm che segue l'indagine, Lorenzo Gestri. Mentre domenica i pompieri spegnevano le fiamme ed estraevano i poveri resti delle ultime due vittime, alcuni loro colleghi, controllando le aree vicine, hanno trovato altri due dormitori dove altri «schiavi» prestavano la loro opera.