L'Fbi ci spia dalle nostre webcam
Dai loro uffici a Quantico, in Virginia, gli agenti speciali dell'Fbi sono in grado di inviare un «malware», ovvero un virus, nei computer dei «sospetti» che intendono prendere di mira, riuscendo così a «perquisirli» a e anche ad attivarne la webcam, con una tecnica abbastanza sofisticata, ma che rasenta i confini del lecito
Dai loro uffici a Quantico, in Virginia, gli agenti speciali dell'Fbi sono in grado di inviare un «malware», ovvero un virus, nei computer dei «sospetti» che intendono prendere di mira, riuscendo così a «perquisirli» a e anche ad attivarne la webcam, con una tecnica abbastanza sofisticata, ma che rasenta i confini del lecito.
Si tratta di una tecnica attivata in particolare per tentare di rintracciare un sedicente terrorista che da anni minaccia di compiere attentati in luoghi pubblici in tutti gli Stati Uniti, ma che a quanto pare è ancora uccel di bosco. Un fantomatico terrorista, scrive il Washington Post, che nel luglio del 2012, due giorni dopo che uno squilibrato aveva ucciso a colpi d'arma da fuoco 22 persone in un cinema di Aurora, in Colorado, ha chiamato l'ufficio locale dello sceriffo. Dicendo di chiamarsi Mo, ha affermato che l'uomo che ha commesso la strage, James Holmes, era un suo amico e che se non fosse stato rilasciato lui avrebbe fatto saltare in aria un edificio pieno di persone.
Da allora ha continuato a farsi vivo, con telefonate via internet e mandando e-mail, alcune anche con sue presunte foto.
L'Fbi ha quindi chiesto l'autorizzazione ad un magistrato federale, a Denver, per poter attivare la «caccia elettronica», e le relative carte legali, scrive il Post, offrono una rara visione delle tecniche di indagini online degli agenti speciali.
In particolare, l'Fbi può inviare un virus nel pc del sospetto partendo da una sua e-mail: nel momento in cui la persona sotto indagine attiva la sua casella, ovunque si trovi nel mondo, gli agenti riescono ad accedere a tutto il contenuto dell'hardware, a scaricarne foto, documenti, contatti, e a vedere i siti web che ha frequentato, e anche a localizzare il computer stesso, oltre che vedere l'ambiente in cui si trova, attraverso la telecamerina di cui è dotato.
È così venuto fuori che l'indirizzo Ip che Mo ha usato la prima volta per creare il suo account e-mail era a Teheran, e anche nelle foto che ha inviato appare un uomo in una divisa militare che gli inquirenti definiscono una mimetica iraniana.
Ma sulla sua identità non c'e alcuna certezza, anche se ha minacciato di compiere attentati contro un carcere, contro un hotel, le università di Denver e del Texas, oltre a un paio d'aeroporti e altri obiettivi, creando non pochi problemi.
Non stupisce quindi che l'«hackeraggio» del suo pc sia stato consentito da un magistrato federale, lo scorso anno. In altri casi le autorità giudiziarie sono state però più rigide, riferisce il Post. In un'altra vicenda, ad esempio, un giudice di Houston ha negato il permesso, affermando che in particolare l'attivazione della webcam sarebbe stata una tecnica «estremamente intrusiva». Ma come nota Christopher Soghoian, della American Civil Liberties Union, ormai «siamo entrati in un mondo in cui le forze di sicurezza entrano nei computer della gente», tuttavia, sottolinea, su questo «non c'è mai stato alcun dibattito pubblico». E il caso Datagate ha dimostrato che da tempo le autorità si muovono fuori controllo.