Napolitano, «impeachment» al via
Per i parlamentari grillini Santangelo, D'Incà, Crimi e Taverna, Napolitano è «colpevole» di aver «attentato alla Costituzione» per diversi atti: essersi fatto rieleggere, non aver rinviato alle Camere leggi giudicate poi incostituzionali dalla Consulta; aver interferito nei procedimenti giudiziari relativi alla trattativa Stato-mafia, opponendosi all'acquisizione delle intercettazioni tra il Quirinale e l'ex ministro Nicola Mancino; aver abusato del potere di grazia; non aver fermato l'abuso sulla decretazione d'urgenza; aver agito venendo meno al suo ruolo «super partes» per mandare avanti le riforme costituzionali
ROMA - Eccola, la richiesta di «messa in stato di accusa» ai sensi dell'art. 90 della Costituzione per Giorgio Napolitano: dieci pagine depositate in entrambi i rami del Parlamento per avviare una procedura dai tempi lunghi.
Per i parlamentari grillini Santangelo, D'Incà, Crimi e Taverna, che illustrano il dossier, il presidente è «colpevole» di aver «attentato alla Costituzione» per diversi atti: essersi fatto rieleggere, non aver rinviato alle Camere leggi giudicate poi incostituzionali dalla Consulta; aver interferito nei procedimenti giudiziari relativi alla trattativa Stato-mafia, opponendosi all'acquisizione delle intercettazioni tra il Quirinale e l'ex ministro Nicola Mancino; aver abusato del potere di grazia; non aver fermato l'abuso sulla decretazione d'urgenza; aver agito venendo meno al suo ruolo «super partes» per mandare avanti le riforme costituzionali.
Giorgio Napolitano però si tiene fuori dalla mischia evitando ogni intervento che sarebbe subito letto come un'intrusione in un dibattito politico-parlamentare già rovente. E pare sereno sulla richiesta grillina di impeachment («faccia il suo corso», commenta neutro), confortato dalla piena solidarietà di tutte le forze politiche e dall'opinione di tutti i costituzionalisti, che ritengono le accuse mosse «fantasiose» e in qualche caso «ridicole».
Come detto, poi, si tratta di una strada lunga e tortuosa che parte dal deposito della richiesta, richiede la trasmissione del dossier da parte della presidente della Camera - la vituperata Laura Boldrini - a un apposito comitato formato dai membri delle giunte per le autorizzazioni a procedere di entrambe le Camere, quindi una decisione da parte di questo sulla legittimità dell'accusa e il passaggio in Parlamento. Il Comitato può infatti decidere di archiviare il caso se ritiene le accuse infondate oppure deliberare il voto in aula. E in questo caso serve riunire il Parlamento in seduta comune, come per l'elezione del presidente.
I parlamentari possono proporre che il comitato conduca ulteriori indagini, oppure possono mettere in discussione la competenza parlamentare dei reati imputati. Il Parlamento vota su queste eventuali proposte. Se sono respinte, si procede con il prendere atto delle decisioni del comitato. Se esso ha deliberato di archiviare il caso, la decisione viene approvata senza il passaggio del voto.
Se invece la relazione propone la messa in stato d'accusa, la si vota a scrutinio segreto. Perché si proceda, la proposta di destituzione deve raggiungere la maggioranza assoluta dell'assemblea.
Ma non è finita: se il Parlamento dà l'autorizzazione a procedere, la questione passa alla Corte Costituzionale, alla quale per questa particolare circostanza vengono affiancati sedici giudici aggregati, estratti a sorte da un elenco di 45 persone - i requisiti di accesso sono gli stessi dei giudici della Corte - compilato dal Parlamento ogni nove anni. È quindi la Corte costituzionale così composta che infine decide, con una sentenza inappellabile.