Per chi stupra una donna c'è anche l'attenuante
Si possono commettere numerosi stupri portati a totale compimento - con la sopraffazione fisica della donna e della sua dignità - e nonostante ciò vedersi concessa l’attenuante di aver commesso un reato di non troppo rilievo, per il quale si può ottenere la riduzione della pena. È quanto sostiene la Cassazione, che si è espressa in disaccordo con un verdetto di merito che, invece, riteneva che una violenza sessuale portata a estremo compimento sia di per sé un reato grave e non un episodio di «minore gravità» La sentenza integrale
Si possono commettere numerosi stupri portati a totale compimento - con la sopraffazione fisica della donna e della sua dignità - e nonostante ciò vedersi concessa l’attenuante di aver commesso un reato di non troppo rilievo, per il quale si può ottenere la riduzione della pena. È quanto sostiene la Cassazione, che si è espressa in disaccordo con un verdetto di merito che, invece, riteneva che una violenza sessuale portata a estremo compimento sia di per sé un reato grave e non un episodio di «minore gravità».
Secondo i supremi giudici, la «tipologia» dell’atto «è solo uno degli elementi indicativi dei parametri» in base ai quali stabilire la gravità della violenza, e non è un elemento «dirimente». Di diverso avviso è stato il Sostituto procuratore generale della Cassazione Pietro Gaeta - uno dei più esperti rappresentanti della Procura - che nella sua requisitoria aveva chiesto «l’inammissibilità» di questa «linea di pensiero».
Anche il «Telefono rosa» ha protestato per il verdetto che «sminuisce» la gravità «di un delitto così efferato come lo stupro» e «questo avviene in un momento particolarmente grave e violento per le donne, dove quasi ogni giorno una donna viene uccisa», ha detto la presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli. Secondo il vicepresidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli, la sentenza indica che «urge la riforma della giustizia: continuo a esser ancor più convinto che per gli stupratori serve la castrazione chimica». Per Barbara Saltamartini (Ncd), il verdetto «indigna ed è una ulteriore violenza contro le donne».
Nel dettaglio, accogliendo il ricorso di un violentatore - al quale la Corte di Appello di Venezia aveva confermato la condanna del gip di Vicenza, che escludeva la minore gravità dato che l’uomo aveva imposto con violenza rapporti completi alla sua compagna - la Suprema Corte ha sottolineato che «così come l’assenza di un rapporto sessuale completo non può, per ciò solo, consentire di ritenere sussistente l’attenuante, simmetricamente la presenza dello stesso rapporto completo non può, per ciò solo, escludere che l’attenuante sia concedibile». Serve «una valutazione del fatto nella sua complessità». Così, però, avverte l’avvocato Giulia Bongiorno si rischia «di derubricare il reato: mi sembra estremamente difficile immaginare un caso di violenza sessuale con penetrazione che possa essere poco grave», ha aggiunto in totale disaccordo.
Per effetto di questa decisione della Terza sezione penale - sentenza 39445 - è stata annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, la condanna (la cui entità non è riportata) inflitta a un uomo di 48 anni «limitatamente alla ravvisabilità dell’ipotesi attenuata». Gli «ermellini», in sintesi, hanno giudicato «fondato» il ricorso del violentatore che ha sostenuto che, per valutare la gravità di uno stupro, deve «assumere rilevanza la qualità dell’ atto compiuto (e segnatamente il grado di coartazione, il danno arrecato e l’entità della compressione) più che la quantità di violenza fisica esercitata».
Nel suo caso, da parte dei giudici d’appello - ha sostenuto l’imputato nel ricorso - sarebbe «mancata ogni valutazione globale», in particolare «in relazione al fatto che le violenze sarebbero sempre state commesse sotto l’influenza dell’alcol». La Cassazione gli ha dato ascolto e, pur senza dare spazio alla storia dell’alcol, ha scritto che «ai fini della concedibilità dell’attenuante, assumono rilievo una serie di indici, segnatamente riconducibili, attesa la «ratio» della previsione normativa, al grado di coartazione esercitato sulla vittima, alle condizioni fisiche e mentali di quest’ultima, alle caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, all’entità della compressione della libertà sessuale ed al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici».
Se così non fosse, - prosegue la Suprema Corte - si riprodurrebbe la «vecchia distinzione, ripudiata dalla nuova disciplina, tra “violenza carnale” e “atti di libidine” che lo stesso legislatore ha ritenuto di non focalizzare preferendo attestarsi sulla generale clausola di casi di minore gravità». Pertanto, la circostanza attenuante «deve considerarsi applicabile in tutte quelle volte in cui - avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione - sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima sia stata compressa in maniera non grave». Tutto ciò vale anche in un caso come quello esaminato, nel quale la Corte di appello di Venezia aveva fatto riferimento, per negare l’attenuante, «ai plurimi rapporti sessuali completi ottenuti con la violenza e senza il minimo rispetto della dignità e libertà di determinazione della donna».
Per la Cassazione, i fatti non bastano nonostante la loro brutale evidenza. È necessaria «una disamina complessiva, con riferimento alla valutazione delle ripercussioni delle condotte, anche sul piano psichico, sulla persona della vittima», perchè i giudici non possono fare come i magistrati della Corte di Appello che si sono «limitati» a «descrivere il fatto contestato, necessariamente comprensivo, per stessa definizione normativa, di violenza senza tuttavia analizzarne, come necessario, gli effetti».
L’uomo è accusato anche di maltrattamenti in famiglia, reato configurabile anche nelle coppie di fatto. Il verdetto di appello è stato emesso il 7 ottobre 2013.