Jobs act: il Pd litiga e rischia la scissione

Nessun margine di trattativa: Matteo Renzi tiene il punto sul Jobs act. «La delega sul lavoro alla Camera non cambierà rispetto al Senato», la riforma del lavoro è blindata e avverte, se qualcuno del Pd non dovesse votare la fiducia: «Facciano pure, se lo fanno per ragioni identitarie», ma «se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno cadere» allora «le cose naturalmente cambiano». Il premier è netto anche sul rapporto con la leader Cgil Susanna Camusso, non è «questione di feeling» ma di «diversa idea del Paese»

Renzi e PadoanNessun margine di trattativa: Matteo Renzi tiene il punto sul Jobs act. «La delega sul lavoro alla Camera non cambierà rispetto al Senato», la riforma del lavoro è blindata e avverte, se qualcuno del Pd non dovesse votare la fiducia: «Facciano pure, se lo fanno per ragioni identitarie», ma «se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno cadere» allora «le cose naturalmente cambiano».


Il premier è netto anche sul rapporto con la leader Cgil Susanna Camusso, non è «questione di feeling» ma di «diversa idea del Paese».
La minoranza Pd, dal canto suo, resta basita dalla parole dure di Renzi, ma il messaggio che filtra dal governo resta quello della fermezza. E il giudizio del premier sulla minoranza interna non è certo tenero: insegue la sinistra radicale, dice, in nome di una «purezza delle origini» che di certo «non è destinata a cambiare l'Italia». Di più: «Il sonno me lo tolgono le crisi industriali, i disoccupati, certo non Vendola o Landini». Insomma chi vuole andare via è libero di farlo, nessuna paura di possibili scissioni: «Facciano pure: non mi interessa».


Sul tavolo c'è però la questione della fiducia, che mette in crisi la minoranza, convinta di poter trovare una mediazione per migliorare il testo sia della delega su lavoro, sia della legge di stabilità. «Se Renzi è convinto che la delega debba essere approvata così com'è alla Camera, magari con il voto di fiducia, io sono dell'avviso contrario» protesta però il presidente della Commissione lavoro ed esponente della sinistra Pd, Cesare Damiano che ribadisce: «È assolutamente necessario correggere contraddizioni e limiti della legge di stabilità e migliorare la delega sul lavoro» che, «come minimo, deve tutelare le nuove assunzioni nel caso di licenziamenti discriminatori e disciplinari non giustificati».


Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, è più diretto: «Se non dovesse esserci nel testo neanche la scelta della direzione del Pd sarebbe molto grave; io personalmente non voterei quel testo». E Pippo Civati avverte: se non c'è dialogo i no alla fiducia potrebbero crescere: «Se sono pochi è un fatto disciplinare ma se sono centinaia è un problema politico gigantesco».
Tutti si augurano comunque che la posizione di Renzi possa ammorbidirsi: «Tenendo conto del clima sociale che c'è nel Paese, sarebbe irresponsabile blindare la delega alla Camera e non consentire le necessarie correzioni», afferma Alfredo D'Attorre. E anche Stefano Fassina punta l'indice sulla fiducia («È un segnale di debolezza politica, grave sul piano costituzionale»), trovando una sponda nell'azzurro Renato Brunetta: la fiducia «è una inaccettabile forzatura» che «distrugge il Parlamento».

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