Pd, fuori Renzi, c'è Martina No ai 5S, ora opposizione
Il dopo Renzi inizia nel Pd all’insegna dell’unità sulla collocazione del partito all’opposizione, ma tra le tensioni per quanto riguarda la gestione interna, a partire dalla questione della collegialità delle decisioni.
La Direzione del Pd ha votato un documento che attribuisce a Maurizio Martina il ruolo di reggente in vista dell’Assemblea nazionale di metà aprile. Accordo c’è stato anche sull’evitare subito il congresso per eleggere un nuovo segretario, mentre si è registrata una divisione sull’organismo che dovrà gestire la fase di transizione, cioè la segreteria uscente o un nuovo coordinamento unitario.
Matteo Renzi non ha partecipato alla Direzione, facendola tuttavia precedere da una intervista e da una dichiarazione in cui ha esplicitato di non voler fare come i predecessori, Veltroni e Bersani, che una volta dimessisi si sono fatti da parte: «Mi dimetto da segretario del Pd come è giusto fare dopo una sconfitta. Ma non molliamo, non lasceremo mai il futuro agli altri. Abbiamo perso una battaglia, ma non abbiamo perso la voglia di lottare per un mondo più giusto». E i renziani hanno marcato il territorio sedendosi tutti nelle prime file in Direzione, per far capire l’intenzione di dire la loro al momento di eleggere i capigruppo di Camera e Senato.
Nella relazione in Direzione il vicesegretario Maurizio Martina ha parlato di «sconfitta netta» ma ha invitato a non cercare «scorciatoie o capri espiatori», vale a dire di gettar la croce sul solo Renzi, ed anzi lo ha ringraziato per «il lavoro e l’impegno enorme di questi anni». Una impostazione su cui tutti lo hanno seguito, anche chi in passato è stato assai critico con l’allora leader, come Gianni Cuperlo.
Per quanto riguarda il ruolo del Pd, Martina ha ribadito che sarà all’opposizione: «Alle forze che hanno vinto diciamo una cosa sola: ora non avete più alibi. Lo dico in particolare a Lega e M5s: i cittadini vi hanno votato per governare, ora fatelo». Una posizione che tutti condividono, tranne Michele Emiliano che ha insistito sull’appoggio a un governo M5s. Andrea Orlando ha tuttavia messo in guardia da un «Aventino istituzionale» e Gianni Cuperlo a invitato a non chiudere a priori a un eventuale richiesta di Mattarella per un governo di scopo, qualora M5s e centrodestra non riuscissero a far nascere un governo.
E intesa c’è stata ancora sulla proposta di Martina sulla necessità di evitare subito un congresso per la scelta di un segretario: «Abbiamo bisogno - ha detto - di una lettura politica e culturale all’altezza del tempo che stiamo vivendo» e di «una profonda riorganizzazione» del partito; compito che l’Assemblea dovrà affidare a una «Commissione di progetto».
L’Assemblea, dunque, secondo lo statuto, eleggerà un segretario (come fu per Epifani nel maggio 2013) e qui i nomi sono quelli di Nicola Zingaretti, dello stesso Martina e di Graziano Delrio, oggi intervenuto: «Siamo ancora il secondo partito italiano, staremo uniti». «Abbiamo bisogno di bussole che ci facciano capire i conflitti che ci sono, devono essere leggibili». Si è tirato fuori Carlo Calenda, oggi presente per la prima volta ad una Direzione Dem.
Alla fine, tranne l’astensione dei 7 esponenti vicini ad Emiliano, tutti hanno votato il documento unitario non senza momenti di tensione tra renziani e le aree di Orlando e Cuperlo.
Le seconde chiedevano la nascita di un coordinamento unitario al posto della segreteria, e i primi vi si sono opposti temendo la nascita di un «caminetto». Paolo Gentiloni ha sintetizzato in un Tweet la giornata: «Le dimissioni di Renzi esempio di stile e coerenza politica. Dalla sconfitta il Pd saprà risollevarsi, con umiltà e coesione. Ora fiducia in Maurizio Martina».