Vertice sulla Libia, tregua armata ma la Turchia si arrabbia
Obiettivo raggiunto. Se l’intento dichiarato dall’Italia per la Conferenza di Palermo sulla Libia era quello di compiere un primo passo per «riavviare il dialogo» tra le diverse fazioni che si contendono il potere e le risorse nel Paese nordafricano, il premier Giuseppe Conte può ritenersi soddisfatto: a Villa Igiea ha riunito in una stanza il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, e il presidente del governo di unità nazionale di Tripoli, Fayez al Sarraj, che si sono scambiati strette di mano, sorrisi e un abbraccio.
Un risultato tutt’altro che scontato fino alle prime ore di stamani e suggellato da una foto con i due ‘rivalì libici e il padrone di casa che ha rapidamente fatto il giro dei siti internazionali.
Nell’incontro Haftar ha garantito una «tregua» a Sarraj almeno fino alle prossime ipotetiche elezioni. «Non si cambia cavallo mentre si attraversa il fiume», gli avrebbe detto. Ora bisognerà vedere se dalle parole si passerà ai fatti. La Conferenza si è conclusa senza un documento finale, solo impegni non scritti. Ma è «un successo» per Conte e l’inviato dell’Onu Ghassam Salamè, che ha ricevuto rassicurazioni da parte di tutti i libici di proseguire sulla base della sua road map che prevede, nell’immediato, una conferenza nazionale su suolo libico a inizio 2019 ed elezioni in primavera.
Per Conte si sono poste delle «premesse importanti» per la stabilizzazione della Libia, premesse che non prevedono alcuna «soluzione imposta» ai libici ai quali - ha ribadito il premier più volte - spetta il compito di decidere del proprio futuro, pur potendo contare sul contributo dell’Italia a partire dal sostegno alla formazione di un esercito regolare, anche attraverso l’addestramento.
L’evento clou - quel faccia a faccia tra Haftar e Sarraj - ha avuto alcuni ‘padrinì ma anche molti esclusi, tanto da far infuriare la Turchia che ha lasciato i lavori anzitempo.
L’incontro è infatti avvenuto in formato ristretto e prima dell’arrivo delle altre delegazioni: a prendere per mano Haftar, c’erano il premier russo Dmitri Medvedev e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Attorno ai due, oltre a Conte e Salamè, i leader dei Paesi confinanti Tunisia, Algeria, Niger, Ciad, il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian a sancire «la continuità» con il vertice di maggio a Parigi che aveva creato non pochi attriti tra Italia e Francia. Assenti dal cosiddetto mini-vertice, invece, il presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh e il capo dell’Alto consiglio di Stato di Tripoli Khaled al Meshri, che pure figuravano come gli altri due leader libici che l’Italia aveva annunciato di voler coinvolgere al tavolo e che si sono dovuti accontentare di un bilaterale con Conte.
Il formato non è piaciuto ad Ankara, tenuta fuori dalla porta dal generale che l’accusa di sostenere i Fratelli musulmani di Tripoli. «Profondamente deluso», il vicepresidente Fuat Oktay ha lasciato in anticipo la Conferenza accusando la comunità internazionale di non aver saputo creare unità e - senza mai nominarlo - Haftar di aver abusato dell’ospitalità italiana, dettando le proprie condizioni all’intero summit. Un abbandono di cui Conte si è poi detto «dispiaciuto», pur riconoscendo che una simile iniziativa produce per forza «fibrillazioni» che tuttavia «non hanno alterato il clima positivo».