Strangolò donna, pena dimezzata perché «agì in tempesta emotiva»
A pochi giorni dall’8 marzo, fa discutere una sentenza che dimezza la pena su un caso di femminicidio. In uno dei passaggi chiave del provvedimento della Corte di assise di appello di Bologna si dice, in sostanza, che una «tempesta emotiva» determinata dalla gelosia può attenuare la responsabilità di chi uccide. Con la conseguenza che i 30 anni di condanna inflitti in primo grado a Michele Castaldo, omicida reo confesso di Olga Matei, la donna con cui aveva una relazione da un mese e che strangolò a mani nude il 5 ottobre 2016 a Riccione (Rimini), sono diventati 16 anni.
«Un’ingiustizia», dice la sorella della vittima, augurandosi un ricorso in Cassazione della Procura generale, che sta valutando se ci sono gli estremi per presentarlo.
Per il ministro Giulia Bongiorno, avvocatessa da anni impegnata contro la violenza sulle donne, «in alcuni passaggi mi sembra un ritorno a un passato remoto. Non ho nessuna nostalgia - aggiunge - del delitto d’onore e dell’idea della donna come essere inferiore».
Castaldo, 57 anni, arrivò all’omicidio dopo che da un paio di giorni si mostrava geloso per messaggi di altri uomini sul cellulare di Olga. Il 5 ottobre la aspettò davanti a casa, i due entrarono, si misero a parlare e a bere vino. Fu allora che le confidò le proprie insicurezze in amore, dovute al fallimento del suo matrimonio e, a suo dire, ai tradimenti della moglie.
Lei però avrebbe mostrato poca comprensione e gli chiese di andarsene, senza minacciare di lasciarlo. Ma scattò un nuovo litigio. Ecco quel che successe, direttamente dal racconto dell’assassino: «Ho perso la testa perchè lei non voleva più stare con me. Le ho detto che lei doveva essere mia e di nessun altro. L’ho stretta al collo e l’ho strangolata». Una volta tornato a casa, Castaldo tentò di farla finita con alcol e farmaci. Poco prima c’era stato un messaggio alla cartomante «di fiducia»: «Cambia lavoro, l’ho uccisa e mi sto togliendo la vita, non indovini un c...».
Nella sentenza si conferma la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito per motivi abietti e futili, ma si concedono le attenuanti generiche, ritenute equivalenti con le aggravanti. E si spiega che questa decisione deriva in primo luogo dalla valutazione positiva della confessione. Inoltre, si legge nell’atto, sebbene la gelosia provata dall’imputato era un sentimento «certamente immotivato e inidoneo a inficiare la sua capacità di autodeterminazione», tuttavia essa determinò in lui, «a causa delle sue poco felici esperienze di vita» quella che il perito psichiatrico che lo analizzò definì una «soverchiante tempesta emotiva e passionale», che in effetti, secondo i giudici «si manifestò subito dopo anche col teatrale tentativo di suicidio». Una condizione, questa, «idonea a influire sulla misura della responsabilità penale».
È stato così che la condanna (ergastolo, ridotto a 30 anni per il rito abbreviato) è stata riformata in 16 anni (24 anni, ridotti di un terzo sempre per il rito) per omicidio brutale, come riconoscono gli stessi giudici.
«Quelle parole - dice il difensore dell’imputato, l’avvocato Monica Castiglioni - vanno intese in senso ampio e leggendo le perizie dei professionisti che si sono occupati del caso».
Inoltre, sottolinea il legale, le attenuanti sono state concesse anche perchè incensurato, per la confessione e per il fatto che ha iniziato a risarcire il danno alle parti civili. «Ha avuto comunque un trascorso tale che il giudice di prime cure autorizzò la perizia psichiatrica: era seguito dal centro di igiene mentale e aveva tentato due suicidi», spiega la legale.