Val di Fassa / Il tema

Secessione fassana? Giuseppe Detomas: «Noi ladini preferiamo Bolzano a Trento»

Nel 1972 i sindaci chiesero ufficialmente il trasferimento del territorio in Alto Adige, poi si trovò una mediazione. Ora l'autonomista ladino Emilio Talmon rilancia la battaglia proponendo ai cittadini di scegliere in un questionario. Il procurador del Comun General de Fascia non ha dubbi: «Se fosse possibile, passerei subito con l'Alto Adige, dove la situazione per servizi, infrastrutture e altro è migliore. In Trentino siamo meno tutelati anche se contribuiamo al 10% del pil»

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di Andrea Orsolin

VAL DI FASSA - Nel 1972 i sindaci fassani chiesero ufficialmente il trasferimento dalla Provincia di Trento alla Provincia di Bolzano. Non piacque affatto la scelta di istituire il Comprensorio assieme ai vicini di Fiemme.

L'allora presidente della Provincia Bruno Kessler, nell'incontro che si svolse al Cinema Crescenza di Vigo, dovette abbandonare l'idea, accontentando i sindaci istituendo il Comprensorio ladino di Fassa. Cinquant'anni dopo, quella tensione non si è sopita. La volontà di passare con i vicini altoatesini ritorna spesso nei discorsi di amministratori e cittadini. Uno di questi, Emilio Talmon, ha lanciato un questionario per tastare il polso della situazione.

Poniamo il quesito («Vuoi che la Val di Fassa passi all'Alto Adige Südtirol?») al procurador del Comun General de Fascia Giuseppe Detomas, e lui risponde senza giri di parole.

«Ci andrei subito. E lo dice uno che a Roma da parlamentare è sempre stato fierissimo di difendere la Provincia di Trento, ma il mondo è cambiato».

Quindi il questionario ha un senso.

«Il tema è fortissimo: la gente fassana vuole andare con Bolzano perché lì funziona meglio. Ed è preoccupante che la Provincia di Trento non si preoccupi di una cosa che non è politica, bensì istituzionale».

Cosa c'è di meglio, oltre confine?

«Investimenti in infrastrutture, strade, ciclabili, una piscina che da noi non c'è: tra noi e i nostri concorrenti economici di Val Gardena e Val Badia c'è un abisso. Il modello trentino è quello di investire nel turismo anche in località che non sono vocate, con il risultato che poi quelle che sarebbero più adatte soffrono il confronto con i vicini. Per non parlare di un ospedale come quello di Bolzano che funziona a meraviglia ed è più vicino, mentre per andare al Santa Chiara di Trento passi per i container e non ci sono parcheggi».

In cosa vi sentite penalizzati?

«Contribuiamo al 10% del pil della Provincia, con una popolazione che è un cinquantesimo di quella di tutto il Trentino, ma che nelle stagioni turistiche diventa quella di una città. Nonostante questo la val di Fassa ha il 25% in meno dei trasferimenti per il settore socio-assitenziale rispetto alla media provinciale, nonostante versi 1,7 milioni di euro al fondo di solidarietà dei comuni trentini. Ha in media il 40% in meno dei posti letto delle case di riposo, Itea sono 50 anni che non fa un investimento. Non c'è una piscina pubblica in tutta la valle, siamo gli unici a non avere ancora una ciclabile che attraversa tutta il territorio».

In Trentino non vi sentite tutelati abbastanza?

«Le leggi ci sarebbero anche, ma non vengono applicate. Nell'immaginario collettivo siamo considerati come ricchi e privilegiati e quindi non bisognosi di attenzioni. Ma da noi c'è anche gente che sta male, ci sono ampi settori di disagio. Ed è allarmante che Trento non si preoccupi del pensiero di una popolazione che preferisce l'Alto Adige: non è un fattore politico, bensì istituzionale. Bisogna tener conto che i fassani si sentono più a casa in un altro territorio, e questo non è il Trentino».

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