Decreto maggio, governo in fibrillazione e sugli immigrati Bellanova minaccia di lasciare
Procede per strappi, tra minacce di dimissioni, mediazioni e frenate, il lavoro della maggioranza sul decreto di maggio. Si litiga su tutto, dalla regolarizzazione dei migranti al campionato di calcio, dal reddito di emergenza alle misure per le imprese. E così rischia di slittare ancora la maxi manovra da 55 miliardi per dare sostegno all’economia: si punta a un Consiglio dei ministri nel weekend ma nulla è ancora scontato, in quella che somiglia sempre più a una corsa contro il tempo.
Perché nel giorno in cui l’Europa stima una caduta del Pil al -9,5% per il nostro Paese, Giuseppe Conte vede profilarsi una «crisi dolorosa», un «periodo di grandi sofferenze». Per frenare questa tendenza e provare a invertirla, bisogna «affrettarsi» a portare in Cdm le nuove misure, dice il premier ai rappresentanti del commercio e della piccola impresa. A chi in questi giorni gli ha indirizzato le critiche più dure, imprenditori da un lato e Iv dall’altro, lancia segnali distensivi, di ascolto delle loro proposte. Nel pomeriggio vedrà Iv a Palazzo Chigi. Ma il mondo imprenditoriale chiede di più.
Al tavolo con gli industriali non siedono né Conte, che spiegano essere stato assorbito da altri impegni, né i presidenti uscenti ed entranti di Confindustria, Vincenzo Boccia o Carlo Bonomi. Nel momento di passaggio al vertice dell’associazione, sono rappresentati dalla dg Marcella Panucci, che si confronta con i ministri Roberto Gualtieri, Stefano Patuanelli e Nunzia Catalfo. Ma gli imprenditori sono critici, invocano risposte, anche Ance chiede più attenzione. Maurizio Stirpe in un’intervista al Sole 24 ore torna a chiedere «indennizzi e non prestiti» e a dire no a «soldi a pioggia con una logica assistenziale». Non piace l’idea, osteggiata nella maggioranza anche da Iv, di ricapitalizzare con fondi pubblici le imprese tra i 5 e i 50 milioni di fatturato. «Non penso a nazionalizzazioni ma possiamo arricchire il sostegno alle imprese», prova a tranquillizzare Conte, rispetto a una misura voluta sia da Pd che da M5s. E assicura il sostegno alle imprese, nel giorno in cui giunge la notizia di un imprenditore suicida a Napoli. Per capire quale potrà essere il perimetro degli interventi statali si attende che la commissione Ue, forse venerdì, aggiorni la disciplina degli aiuti di stato. Ma a chi come Bonomi attacca, il premier risponde di inviare proposte, «purché siano specifiche e concrete».
Gran parte della tenuta del governo, osserva una fonte Pd, dipenderà dalla capacità di garantire pagamenti rapidi ai cittadini e liquidità alle imprese. Ed è anche la consapevolezza della gravità del momento ad aumentare le tensioni. Conte, sulla scia della convinzione condivisa dal Quirinale che l’instabilità non possa far bene al Paese, prova a contenere il malcontento sempre più aperto dei renziani. «Nessuna ostilità nei loro confronti», è il ragionamento: anzi, ascolto delle loro proposte. Ma Teresa Bellanova minaccia le dimissioni se l’ostilità M5s bloccherà la norma sulla regolarizzazione dei migranti. Matteo Renzi torna ad attaccare sul Reddito di emergenza, avverte sul rischio di uno «tsunami occupazionale» e ribadisce il no ai dpcm (su cui anche i Dem restano critici). Il premier convoca a Palazzo Chigi Ettore Rosato e i capigruppo Maria Elena Boschi e Davide Faraone, per provare a riprendere un filo di dialogo. Ma Renzi resta prudente: «Vedremo se alle parole seguiranno i fatti», dice ai suoi. E convoca per sabato un’assemblea dei suoi parlamentari.
Per sciogliere i nodi che ancora restano nel decreto di maggio servirà un nuovo incontro del premier con i capi delegazione. I nervi restano tesi, anche perché a guastare i rapporti nella maggioranza ci sono il capitolo giustizia, che vede Iv critica verso il ministro Alfonso Bonafede, e anche il calcio, con gli attacchi dei renziani a Vincenzo Spadafora, tanto che Conte deve prendere in mano il dossier. E mentre in Parlamento arrivano più di mille emendamenti di maggioranza al decreto sulla liquidità alle imprese, anche i Dem, che pure cercano di sminare le tensioni e lavorano a una soluzione sul «Contributo di emergenza», chiedono un cambio di passo sulle semplificazioni o, avverte Nicola Zingaretti, «si mina la credibilità dello Stato».