Padre Albanese: «Silvia Romano? Ci vuole pudore, Al Shabaab feroci, ma gli italiani gli vendono le armi»
«Ci vuole pudore. Del sequestro di Silvia Romano sappiamo poco o nulla. Ancora meno sappiamo delle condizioni psicologiche e spirituali in cui si trova la ragazza e soprattutto delle sue condizioni durante questa prigionia lunghissima, un anno e mezzo. Al-Shabaab è in assoluto la più feroce delle organizzazioni terroristiche ora presenti in Africa. Ma pensiamo anche ai loro cugini in Nigeria: Boko Haram ha forzatamente radicalizzato e islamizzato tutte le ragazze che ha sequestrato. Il minimo che una donna possa subire durante una prigionia da parte di Boko Haram o Al-Shabaab è l’offerta di conversione. E sottolineo il minimo».
Padre Giulio Albanese è uno dei pochi che conoscono la realtà frastagliata del Corno d’Africa, non solo perché lui stesso ha subito un sequestro ed è stato a lungo missionario ma anche per aver conosciuto vittime dirette di altri brutali assalti terroristici come quello che portò all’uccisione in Somalia, nel 2006, di suor Leonella, missionaria comboniana, fondatrice, dopo l’esperienza in Kenya, di una comunità a Mogadiscio che dopo il suo assassinio ha chiuso. «Il problema di fondo - spiega all’ANSA - è che non sappiamo nulla di quello che è avvenuto, mentre sappiamo che Al-Shabaab sono in assoluto i più feroci in Africa, alla stregua di Boko Haram. Finire nelle loro mani per una donna nella migliore delle ipotesi vuol dire una spinta alla conversione. Sono tagliagole. Silvia Romano è stata sottoposta a uno stress psicologico non indifferente. Dietro quel sorriso c’è il mistero. È assolutamente prematuro esprimere giudizi, ho sentito anche parlare di sindrome di Stoccolma, tirata in ballo a sproposito. L’unica cosa su cui ora ci possiamo focalizzare è che quelli che sono stati i suoi “interlocutori” sono in assoluto i peggiori che abbiamo sul territorio africano».
«Vorrei ricordare che le ragazze sequestrate da Boko Haram, molte anzi, la maggior parte musulmane, sono state sottoposte a islamizzazioni forzate, sono state costrette, sono tornate tutte col velo nero, le sollecitazioni cui vengono sottoposte vanno al di là di ogni immaginazione e lo dice uno che è stato rapito per due giorni e mezzo. Silvia ha sicuramente subito un inferno. Dopodiché io, anche come sacerdote, rispetto appieno le sue scelte: se ha abbracciato l’Islam io lo rispetto ma lo ha fatto in un contesto di grandissima tensione».
Padre Albanese non menziona la parola stupro ma invita a guardare la storia: ci sono precedenti terribili come quelli della rivolta mahdista con stupri di missionarie comboniane. «Io credo - ripete - che per Silvia ci voglia pudore, rispetto, è un accanimento verso una persona che viene fuori da un inferno, una nostra connazionale. Anche sulla questione riscatto - continua -, sarei prudente. Dal mio punto di vista io sono contento che sia successo, sarei stato più contento se non fosse successo, ma non si può certo giudicare una ragazza che ha fatto volontariato col metro di dire che sarebbe da disprezzare perché rilasciata con soldi dei contribuenti italiani. Si è probabilmente finanziato un gruppo terrorista? Se è vero, diciamo pure che ci sono nazioni che hanno venduto armi a questi gruppi, anche italiane, ad esempio in Yemen».
Albanese traccia anche un quadro della situazione geopolitica delicatissima della Somalia che poco viene sotto i riflettori dei media italiani: un Paese dove lo Stato fatica a tenere il completo controllo del territorio e che riesce a resistere (chissà per quanto ancora) alle spinte, se non vere scosse sismiche, legate a interessi commerciali ed espansionistici.
«La Somalia - spiega - dal 1991, dalla caduta di Siad Barre ha sviluppato una implosione dal punto di vista statuale, il governo di Mogadiscio faticherebbe ad avere il controllo del territorio se non ci fosse l’aiuto di peace keeping di altri Paesi africani. Ma come contrastare queste formazioni jihadiste? Viene spontaneo chiedersi quali sono gli interessi geopolitici. La Somalia, che si affaccia sullo Yemen, è esposta alla contaminazione delle cellule jihadiste che hanno interessi sui giacimenti di uranio, scoperti dai russi negli anni ‘80, di gas naturale e di petrolio. La presenza dei turchi non è casuale, anche se non è al pari di quella della Cina. La Turchia ha fatto un grosso investimento sulla Somalia, investirà sicuramente nel settore petrolifero ed ha investito in tecnologie e infrastrutture, aeroporti, autostrade. Sono riusciti da poco a strappare un contratto ai cinesi per un treno superveloce. Qualcuno parla di neo-ottomanesimo: di sicuro ai tempi dell’Impero ottomano l’Africa aveva un peso enorme».