Paolo Bordon lascia l'Azienda sanitaria: «In sanità Fugatti non ha un programma continua ancora con quello della giunta Rossi»
Ultimo giorno da direttore generale dell’Azienda sanitaria del Trentino ieri per Paolo Bordon. Giovedì era stato il giorno dei saluti, ai collaboratori più stretti e ai primari ospedalieri, incontrati a cena. Ieri pomeriggio, raccolte le ultime cose nella sede di via Degasperi, si è messo in viaggio per tornare a casa, nella sua Udine.
Giusto una scappata perché lunedì mattina prenderà possesso della sua nuova abitazione e soprattutto del suo nuovo ufficio a Bologna, dove si insedierà alla guida dell’Asl provinciale.
A Trento Bordon ha trascorso quattro anni che definisce «straordinari». E qui terrà ancora per qualche mese casa e residenza. «Tornerò i fine settimana a fare qualche giro in montagna con gli amici, finché sono rimasto ho goduto poco perché nei week end tornavo spesso in Friuli, adesso che lavoro da un’altra parte magari avrò più tempo per visitare questi posti».
Giornata di addii, dottor Bordon?
Sì, sono state giornate di emozioni. Ho trovato un fortissimo attaccamento, reciproco peraltro, tra me e l’Azienda. Ne ho girate tante ma questa volta la fase di distacco è più complessa. Emotivamente, per il forte legame con gli operatori, amministrativi e medici. Mi hanno dato una dimostrazione di affetto al di là di ogni più rosea previsione, come non avrei mai pensato.
E lei che bilancio fa di questi quattro anni?
È stata un’avventura fantastica.
Ero arrivato il 9 maggio 2016, in una giornata fresca di una primavera che tardava ad esplodere. Ero molto timoroso ed emozionato e ci fu un’accoglienza straordinaria all’auridorium del Centro servizi sanitari di viale Verona, introdotto dall’allora assessore Zeni. Non avrei mai pensato che in questo tempo si formasse un legame così forte con molte persone che spero resterà per tutta la vita.
E dal punto di vista professionale?
È stato un bellissimo viaggio. Abbiamo avviato una riorganizzazione dell’azienda che definirei un’avventura ?folle?. Abbiamo iniziato partendo dal basso, coinvolgendo centinaia di persone in riunioni itineranti anche negli ospedali di valle, immaginando di ricostruire un’azienda in grado di affrontare le sfide del 2020: il tema della cronicità, delle distanze tra cittadini e offerta sanitaria, la difficoltà di trovare i professionisti. Da lì è partito un lavoro che è ancora sostanziamente in atto. Un modello che ha abbandonato la logica degli ospedali, anche di valle, autonomi per introdurre una logica di rete.
La logica è quella di un ospedale diviso su sette complessi: S.Chiara, Rovereto e i cinque di valle. Dove ognuno ha una missione, non esiste l’autosufficienza ma c’è la compensazione di alcune attività trasferite da una parte all’altra.
In questo modo si sono popolati di attività anche di tipo chirurgico gli ospedali di valle, che hanno ospitato pazienti di Trento e Rovereto e dove è più facile fare attività programmata rispetto al centro. L’altra scommessa è stata quella di avere un unico braccio operativo sul territorio abbandonando la struttura che io chiamo a canne d’organo, molto autonoma nei distretti, cercando di eliminare le eccessive differenze nei confronti dei cittadini che c’erano tra le varie zone. È stato un lavoro faticoso ma molto bello, condiviso con gli operatori sanitari, e non ancora concluso.
L’emergenza Covid non rischia di scompaginare tutto questo lavoro?
Io direi invece che l’emergenza è stata affrontata bene proprio grazie a questa organizzazione.
Abbandonato il modello ?feudale? dove ognuno si faceva le cose in casa abbiamo abbracciato un modello trasversale che ha portato ad una flessibilità che si è dimostrata arma vincente, per la velocità nell’affrontare le cose esaltando un nucleo centrale ma anche l’operatività delle periferie.
Certo la pandemia ha lasciato in eredità un lavoro pregresso, interventi e visite rinviati. Non sarà facile tronare alla normalità.
Indubbiamente. Abbiamo circa undicimila prestazioni ambulatoriali non evase, fermo restando che le urgenze sono state fatte. C’è stata una fase in cui la gente non veniva in ospedale, anche per paura del virus. Adesso c’è da recuperare e c’è un piano di lavoro, presentato all’assessorato, per poter efficientare la capacità di risposta. Certo bisogna stare sempre in guardia col Covid perché ragionevolmente una seconda ondata, magari non violenta come la prima, ci potrà essere. Uno scenario che tutti i sistemi dovranno affrontare, fino al 2020 e probabilmente 2021.
Uno dei problemi spesso emerso è la carenza di alcune figure mediche. L’avvio della facoltà di medicina a Trento è la risposta?
No, sicuramente è un fattore di attrazione possibile ma la risposta è avere le scuole di specialità. Come noto i test di ingresso inviano gli studenti in città che non si scelgono loro. Solo quando ci saranno anche le scuole di specialità, successive alla laurea, sarà la fase interessante perché gli specialisti potranno più facilmente restare a lavorare sul territorio. La difficoltà di trovare professionisti permane e forse col Covid sarà anche aggravata perché l’emergenza ci ha permesso di assumere ragazzi che si sono laureati ma si specializzeranno più avanti; tutto questo in un momento di grosso ricambio generazionale, con molte persone che stanno per andare in pensione. Anche per questo la nostra organizzazione a rete permette di coprire turni in tutti gli ospedali. E questo è un vantaggio anche per la formazione dei giovani, che non vogliono essere confinati in periferia. A questo proposito sono stra-orgoglioso delle esperienze di medicina digitale fatte durante il Covid. Abbiamo dimostrato che è possibile fare visite ad esempio oculistiche o pediatriche a distanza, con gli smartphone.
In maggio il 30% delle prestazioni ambulatoriale erano in telemedicina, un dato molto positivo che rappresenta il futuro. Spero sia un’eredità importante per il mio successore e che sicuramente io mi porterò dietro anche andando in una realtà molto avanzata come quella emiliana.
In questo sistema di riorganizzazione a rete quanto manca la trama centrale che dovrebbe essere costituita dal Not, il Nuovo ospedale del Trentino?
Manca molto.
Quello è il cardine della sanità. Purtroppo è l’aspetto negativo della mia esperienza trentina: non avrei mai penato di andarmene nella stessa situazione di quando sono arrivato. Il Not non c’era e non c’è, e questo è un problema tremendamente serio. Senza il Not cade il sistema e cadono anche gli ospedali di valle. Io mi auguro per i trentini che si possa trovare una soluzione rapida perché è la prima necessità. Un ospedale moderno che abbia i mezzi e la possibilità di attrarre i professionisti, nell’interesse dell’intero sistema.
Lei ha lavorato prima con la giunta Rossi e poi con quella guidata da Fugatti. Ha trovato grandi differenze?
Io sono molto rispettoso delle istituzioni e di chi le rappresenta. Dopodiché per fare un lavoro come il nostro bisogna avere un programma e oggi il programma è ancora quello della giunta Rossi. Il programma della giunta Fugatti in materia di sanità non c’è ancora. L’unico input è stata una lettera che mi è arrivata l’anno scorso, senza nessun prevviso o confronto preventivo, che diceva che c’era un taglio di 120 milioni, proprio mentre si voleva implementare le strutture periferiche: un’incongruenza madornale. Io però ho preso questa lettera molto seriamente e la scorsa estate abbiamo fatto coi collaboratori un lavoro molto bello, di 91 pagine, dove abbiamo fatto una serie di proposte alternative per risparmiare senza venir meno agli input politici, che erano quelli di riaprire i punti nascita. Di fatto però a parte un paio di riunioni queste proposte non sono mai state discusse seriamente. Non c’è insomma un programma definito dell’amministrazione provinciale. A scusante c’è stata la pandemia ma di fatto stiamo ancora lavorando sulla sperimentazione e la riorganizzazione della giunta precedente.
Lei ha sempre lavorato per sistemi inseriti in regioni autonome. Ora va in una realtà avanzata ma a statuto ordinario. Qualche timore da questo punto di vista?
Vedremo. È un ordinario con un presidente che vorrebbe diventare ?speciale?. Per me è una fase di crescita. In Friuli e in Trentino c’è gente simile, molto concreta. Mi auguro che anche il presidente Fugatti e l’assessore Segnana facciano bene, che sfruttino le straordinarie capacità degli operatori, la loro energia che deve essere liberata e convogliata nell’interesse della comunità trentina.
E’ vero dottore che il suo rapporto contrattuale con la Provincia finirà con un contenzioso in tribunale per il mancato preavviso?
Siamo già stati in tribunale ieri, all’ufficio di conciliazione, e abbiamo chiuso la vertenza. Io ho rinunciato a chiedere i danni all’amministrazione per il mancato rispetto delle condizioni inserite nelle dimissioni e loro a chiedermi il preavviso. Mi dispiace perché non era mia intenzione chiudere la mia esperienza andando con un avvocato in aula, ma è andata così.