Perché al turismo trentino mancano 5 mila stagionali (e all’Alto Adige no)
L’analisi degli albergatori: «Un allarme ampiamente ignorato», ma i sindacati attaccano: «A Bolzano contratto migliore, se vogliamo attrarre manodopera, dobbiamo parlare di retribuzioni e contratti»
TRENTO. Un allarme ampiamente previsto e tragicamente ignorato. La definizione può sembrare paradossale, ma è quella che usano tutti, parlando del problema del momento: non si trovano lavoratori stagionali da inserire nel turismo trentino che si sta rimettendo in piedi. Quanti? A spanne - numeri precisi non ce ne sono ancora - tra 4 e 5 mila solo per l'estate.
Numeri che cominciano a preoccupare gli operatori. Un fenomeno che tocca sia gli stranieri (bloccati da decreto flussi e attesa del vaccino) sia gli italiani, ormai migrati verso altri e più sicuri lavori. Un rischio che sindacati e Asat evidenziavano da mesi, perché la mancanza di sostegni adeguati ai lavoratori stagionali li ha fatti migrare.
«L'avevamo detto perché capivamo che erano al limite. I sostegni sono arrivati lunghi, ormai la gente ha trovato altro» sbotta il presidente Asat Gianni Battaiola, mentre i sindacati puntano il dito contro politiche inadeguate sia della Provincia, sia degli operatori: «Chiediamo da anni un contratto integrativo. Ora diciamo: firmiamo quello dell'Alto Adige, dove non hanno questo problema» rilanciano Paola Bassetti, Lamberto Avanzo e Walter Largher, segretari Filcams, Fisascat e Uiltucs.
Insomma, la sensazione è di un problema che forse sarebbe scoppiato comunque, ma che di sicuro non si è fatto abbastanza per evitare.
Ogni anno in Trentino lavorano circa 15 mila stagionali nella galassia del turismo. Assieme alle aziende, sono la colonna vertebrale di un settore che vale il 24% del Pil (dati Ispat al 2019). È il sistema trentino che ha garantito, prima dello shock dovuto al Covid, crescita costante e numeri da record, sul fronte presenze. Ma servono entrambi i rami del medesimo albero, in cui i dipendenti stagionali rappresentano quello più debole. La pandemia su di loro si è abbattuta in modo pesante: non erano assunti, non hanno avuto la cassa integrazione. Erano senza rete. Bene che vada, da marzo 2020 hanno ricevuto 3 mila, 3.500 euro.
I sindacati denunciavano l'insufficienza delle misure a sostegno del lavoro ancora nel Riparti Trentino. Evidentemente non avevano torto: chi ha potuto, tra gli stagionali a casa, è migrato verso altri settori. Il presidente Battaiola l'aveva denunciato ancora lo scorso gennaio: «Erano al limite, serviva un sostegno che li tenesse legati al turismo e le aziende in quel frangente avevano zero possibilità. Non potevamo nemmeno assumerli per farli andare in cassa integrazione. Si sono spaventati, hanno fatto scelte personali diverse, magari hanno rinunciato a qualcosa, economicamente, per avere sicurezza. E adesso le aziende faticano a trovare collaboratori».
Questo discorso vale per gli italiani. Quanto agli stranieri, che contano almeno per il 20% del totale e pesano soprattutto nelle valli, il tema è diverso: non c'è ancora la firma su decreto flussi, significa che non si può far entrare in Italia qualcuno, nemmeno con il contratto di lavoro. Gli unici che possono, sono quelli che hanno un visto lungo ottenuto per la stagione invernale mai partita. «Ma quelli hanno un ulteriore problema - spiega Battaiola - hanno fatto la prima dose del vaccino nel loro paese, per venire da noi dovrebbero rinunciare alla seconda. Per questo chiediamo di potergliela fare noi».
Ma sul punto mancano risposte. Insomma, tanto a Roma quanto a Trento non si è governato un trend prevedibile e previsto. Ecco perché Covid ha lasciato strascichi pesantissimi. Ma lo ha fatto anche perché il settore non era "blindato" abbastanza.
I sindacati avevano chiesto sostegni legati a politiche attive del lavoro (una lettera in questo senso è datata 17 marzo e non ha avuto risposta). In campo c'è sì Agenzia del lavoro, con una convenzione rinnovata per percorsi formativi e gestione più efficace delle liste di collocamento. Ma quel che è mancato è il sostegno economico per garantire il sistema trentino in un settore strategico. «Lo chiediamo da anni, lo ribadiamo ora: serve un contratto integrativo per far sentire questo lavoro meno precario» sbottano i sindacati . E ricostruiscono non gli ultimi mesi, ma gli ultimi anni, in cui si è cercato di dare dignità ad un lavoro che tiene in piedi un settore strategico con poco successo. «L'Alto Adige non ha questi problemi. Adeguiamoci».
Dire che sono arrabbiati è un eufemismo. I sindacati guardano a quello che sta accadendo con l'approccio che potrebbe avere Cassandra. Si stupiscono dello stupore, diciamo. E mettono subito le mani avanti: il problema scoppia col Covid, ma nasce molto prima. «Diciamo che il Covid ha fatto emergere tutte le debolezze del settore, che denunciamo da anni», parlano con voce sola Paola Bassetti, Lamberto Avanzo e Walter Largher, segretari Filcams, Fisascat e Uiltucs. E denunciano: «Da anni chiediamo un contratto integrativo, e da anni ci dicono che non è il momento». Non è solo questione di ristori, insomma. Anche se Gianni Battaiola, presidente Asat, assicura che «avevamo iniziato un'interlocuzione, eravamo a buon punto. Poi è arrivato Covid».
La fuga degli stagionali dal mercato del turismo a più cause, e nessuna riguarda (con buona pace del governatore campano Vincenzo De Luca, che governa territori decisamente diversi da questo) il reddito di cittadinanza. Qui la disoccupazione a dicembre 2020 era del 5,1%, troppo bassa per immaginare che chi quest'inverno si è spaventato non abbia trovato un'alternativa. E in effetti questo è accaduto.
Ma perché è stato così facile perdere queste persone? Perché il sistema turistico non è riuscito a tenerle attratte a sé? I sindacati un'idea ce l'hanno: «da anni chiediamo di aprire una contrattazione territoriale, discutere di retribuzione, di formazione sia dei lavoratori che degli studenti in uscita dalla scuola alberghiera. Lo chiedevamo per rendere il settore meno precario, meno soggetto a rischi di esodo. Ma da anni i datori di lavoro ci hanno sempre detto che non era il momento. Anche Asat ce l'ha detto. Anche dopo gli anni record, con numeri crescenti sulle presenze. Rinviavano continuamente. Eppure è in tempi di pace che ci si prepara alla guerra, è quando le cose vanno bene che si lavora per garantire tutele».
Il punto era, ribadiscono, proprio tutelare l'intero sistema. E per farlo bisognava passare da una valorizzazione del lavoro, che andava considerato meno precario, sia nella qualità che nei tempi: «Da anni facciamo la battaglia sulla destagionalizzazione.
Perché in Alto Adige non hanno questo problema, nonostante la pandemia? Per due motivi. Perché la stagione è più lunga e perché hanno contratti diversi. Loro hanno firmato un integrativo che prevede 100 euro al mese in più e l'8% come indennità stagionale. Noi adesso non abbiamo più tempo di metterci a contrattare, allora facciamo così: firmiamo anche in Trentino il contratto dell'Alto Adige. Non un euro di più, ma non un euro di meno. Se vogliono i lavoratori, li retribuiscano, li attirino. Questa è una sfida di visione del turismo futura, noi la lanciamo adesso».Il senso è chiaro: il momento può sembrare poco opportuno, viste le difficoltà delle aziende. Ma va buttato il cuore oltre l'ostacolo.
Dall'altra parte Battaiola evidenzia che il confronto tra imprenditori e sindacati era in atto, solo si è fermato a causa della pandemia: «Lo riprenderemo il prima possibile, eravamo impegnati su quel fronte - spiega e poi, pensando agli aiuti provinciali - anche su questo settore, l'importante è che gli interventi arrivino prima dell'avvio stagione, non dopo: un aiuto per aumentare gli stipendi adesso è una cosa, un premio a chi assume a fine stagione, non è in grado di dare la stessa spinta».