La «variante Delta» spaventa l’Europa, e in Trentino quanto casi abbiamo e come li affrontiamo?
Oggi l’Istituto Superiore di Sanità ha richiamato a intensificare tracciamento e vaccinazioni: in provincia sicuramente ci sono dei focolai, e la nostra regione ha fornito il 50% dei campioni infetti al database internazionale
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TRENTO. Sono certamente segnalati anche in Italia focolai di varianti del virus SARS-CoV-2, in particolare della variante Delta, con maggiore trasmissibilità e con la potenzialità di eludere parzialmente la risposta immunitaria. Lo si legge nella bozza di monitoraggio settimanale dell'Iss-Ministero della Salute, ora all'esame della cabina di regia.
Queste varianti – scrivono i tecnici - hanno portato ad un inatteso aumento dei casi in altri paesi europei con alta copertura vaccinale. Chiesto un capillare tracciamento e sequenziamento dei casi, una elevata copertura vaccinale e il completamento dei cicli di vaccinazione per evitare recrudescenze della pandemia.
Secondo la Fondazione Gimbe, i casi di covid da «Variante Delta» crescono esponenzialmente in Italia, e saranno il 90% dei casi nel prossimo autunno. Fondamentale, secondo l’Istituto, è il tracciamento e la mappatura fin da subito. Ma in Trentino non sapiamo ancora quanti casi abbiamo, ed il «tracciamento» con tamponi non è ancora stato annunciato.
La diffusione della variante Delta in Italia è in crescita, ed attualmente corrisponde al 9% del totale delle sequenze genetiche del virus SarsCoV2 depositate dal nostro Paese nella banca dati internazionale Gisaid: lo indica l'analisi fatta per l'Ansa dal Gruppo di Bioinformatica del centro Ceinge-Biotecnologie avanzate diretto da Giovanni Paolella.
Fra gli autori della ricerca Rossella Tufano e Angelo Boccia, che precisano che le statistiche frutto dell'analisi "sono basate sulle sequenze pubblicate in Gisaid e, inevitabilmente, non possono rappresentare l'esatta diffusione del virus sul territorio".
Dall'analisi emerge inoltre che Puglia (35%) e Trentino Alto Adige (26%) sono le regioni in cui la variante Delta risulta essere attualmente più diffusa. Ma non c’è un dato scorporato fra Bolzano e Trento.
I dati esaminati nella banca Gisaid sono aggiornati al 21 giugno 2021 e l'analisi indica che, delle 1.193 sequenze depositate in totale, 108 (circa 9%) corrispondono alla variante Delta (B.1.617.2).
Si nota un "aumento - rilevano i ricercatori - rispetto a quanto riportato per il periodo 15/05/2021 - 16/06/2021, in cui la variante Delta corrispondeva al 3.4%".
In quest’ultimo periodo dal Trentino Alto Adige erano arrivati quasi la metà delle sequenze italiane con variante Delta.
E dal Trentino? Della presenza della Delta in provincia avevano parlato i vertici dell’Azienda sanitaria alcuni giorni fa, confermando che vi sono dei casi. Ma quanti sono e cosa si sta facendo per monitorarli, ancora non è stato reso noto.
Eppure è una minaccia, come spiega Guido Rasi, ex direttore generale dell'Agenzia Europea dei Medicinal ed oggi consulente del commissario straordinario all'emergenza Covid-19. La variante delta "probabilmente la stiamo sottostimando, siamo ancora in tempo per fare una tracciatura e isolamenti, siamo agli ultimi tempi utili per farlo. Ancora una volta non abbiamo fatto sequenziamento e isolamento di casi quando erano pochi".
I casi di questa variante comunque, ha aggiunto, "sono sicuramente meno gravi e riguardano la popolazione più giovane ma non è chiaro se questo avviene perché i giovani non sono vaccinati o perché li aggredisce in modo specifico".
Per la Fondazione Gimbe "Non è accettabile una gestione attendista della variante Delta, contro la quale occorre attuare tempestivamente le misure raccomandate dall'Ecdc: potenziare sequenziamento e contact tracing, attuare strategie di screening per chi arriva dall'estero e accelerare la somministrazione della seconda dose negli over 60 e nei fragili". A chiedere di mettere in campo azioni in modo deciso è la Fondazione alla luce dei risultati del nuovo monitoraggio relativo alla settimana dal 16 al 22 giugno. Secondo il report del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) pubblicato ieri, questa variante è del 40-60% più contagiosa di quella alfa (inglese) e determinerà il 70% delle nuove infezioni entro l'inizio di agosto ed il 90% entro la fine. In Italia, stando al database internazionale sulla base dei campioni prelevati dal 9 al 23 giugno, su 218 sequenze depositate 71 (32,6%) sono da variante delta ma non tutte le Regioni condividono i sequenziamenti in questo database.
Un dato più accurato sulla prevalenza della variante delta in Italia, al 18 maggio la attestava all'1%. "In assenza di dati affidabili sulla presenza della variante Delta in Italia - puntualizza il presidente Gimbe Nino Cartabellotta - tre sono le ragionevoli certezze: innanzitutto il numero di sequenziamenti effettuati è modesto e eterogeneo a livello regionale; in secondo luogo, il contact tracing non è stato ripreso, nonostante i numeri del contagio lo permettano. Infine, preoccupa il confronto con quanto sta accadendo nel Regno Unito, dove la variante si diffonde velocemente: in Italia infatti poco più 1 persona su 4 ha completato il ciclo vaccinale (rispetto al 46% nel Regno Unito), mentre il 26,5% della popolazione ha ricevuto solo una dose (rispetto al 17%) e il 46% è totalmente privo di copertura (rispetto al 37%). Percentuali preoccupanti considerando la minore efficacia di una sola dose nei confronti di questa variante".