Quirinale: Salvini incontra Draghi, poi faccia a faccia con Letta e Conte: si tratta dopo il flop di Casellati
In grande risalita le quotazioni del premier. Nel centrodestra volano i coltelli dopo il fallimento della candidatura del presidente del Senato, "bruciata" anche da 60 franchi tiratori e lontanissima dalla maggioranza assoluta. Resta in campo anche l'ipotesi Casini, mentre se i partiti non sapranno uscire dal pasticcio potrebbero tornare all'idea di chiedere disperatamente un bis a Mattarella (che non lo vuole)
FUMATA NERA La candidata del centrodestra Casellati si ferma a quota 382. Ora si riaprono tutti i giochi
ROMA. Si cerca finalmente un'intesa in un confronto testa a testa fra i due schieramenti, dopo il flop della candidatura Casellati e l'annunciato nulal di fatto per la sesta votazione sul Quirinale, in corso stasera, 28 gennaio.
Alle 18.15 si è appreso che è in corso alla Camera un incontro fra Matteo Salvini, Enrico Letta e Giuseppe Conte.
Il segretario della Lega, poco prima, ha incontrato il premier Mario Draghi.
I due sono stati visti uscire a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro dallo stesso palazzo nei pressi di via Veneto.
Nel primo pomeriggio di oggi la quinta votazione di Montecitorio ha "bruciato" anche la seconda carica dello Stato, cioè la presidente del Senato Elisabetta Casellati.
Con il suo nome, proposto a sorpresa ieri notte, Matteo Salvini ha cercato lo strappo basandosi sui voti del solo centrodestra, ma il tentativo è fallito.
Casellati si è fermata a 382 preferenze facendo materializzare almeno una settantina di franchi tiratori interni.
Ecco quindi che risale il nome di Mario Draghi, resiste quello di Pier Ferdinando Casini e si irrobustisce molto il partito del Mattarella bis.
Non si può non notare come i veti all'interno del centrodestra blocchino ancora il meccanismo.
A spiegarlo benissimo è Vittorio Sgarbi: "C'è un veto su Draghi di Forza Italia, un veto su Casini di Fratelli d'Italia e un veto su Mattarella di Salvini", chiarisce il critico d'arte.
Lo schema sembra ormai essere delineato ed è improbabile che il leader della Lega possa lanciare un ennesimo nome di area dopo aver acclarato che anche dentro il centrodestra i franchi tiratori non mancano.
Probabilmente adesso dovrà decidere se sia più digeribile per il suo schieramento Mario Draghi o Pier Ferdinando Casini.
Sempre secondo Sgarbi, al centrodestra rimarrebbe sostanzialmente Draghi, visto che sia Mattarella sia Casini (per ex centrodestra) sono figure politiche del Pd.
L'opzione Mattarella bis, forse la più limpida, rimane complessa. Ci sarebbe da convincerlo e servirebbe una processione al Quirinale: il presidente, come noto, è contrario a questa ozpione estrema.
Nel frattempo, dopo il voto che ha bocciato Casellati, è esploso così il malessere della coalizione, che ha costretto Salvini a desistere nella seconda votazione.
Non ci saranno quindi altri tentativi per la seconda carica dello Stato che esce ferita dallo scrutinio.
Una giornata difficile che ha anche registrato l'accusa di aver marchiato le schede per renderle riconoscibili al fine di individuare chi ha "tradito".
Tanto che Giorgia Meloni furiosa lo ha fatto ben capire: "Fratelli d'Italia, anche alla quinta votazione, si conferma come partito granitico e leale. Anche la Lega tiene. Non così per altri. C'è chi in questa elezione, dall'inizio - accusa la leader di Fratelli d'Italia - ha apertamente lavorato per impedire la storica elezione di un presidente di centrodestra. Occorre prenderne atto, e ne parlerò con Matteo Salvini, per sapere cosa ne pensa".
Parole durissime che certificano la lacerazione interna al centrodestra dopo il flop di Elisabetta Casellati. Infatti nella seconda chiamata odierna il centrodestra cambia e si astiene mentre il centrosinistra vota scheda bianca.
E così finisce con un nulla di fatto anche la sesta votazione.
Piovono dal centrosinistra le accuse di irresponsabilità per aver mandato al massacro la seconda carica dello Stato e ora si ricomincia con riunioni, contatti e telefonate.
Ma se già era chiaro ieri oggi nessuno ha più dubbi: le prove di forza non funzionano con un Parlamento spaccato come una mela.