Irlanda del Nord, storico successo per lo Sinn Fein: voto cattolico e operaista per chi vorrebbe lasciare la Gran Bretagna
Per la prima volta sconfitti gli unionisti, vince il partito guidato dalla 45enne Michelle O'Neill che assicura politiche inclusive a garanzia di diversità, diritti ed eguaglianza. Il successo della forza che aspira alkla riunione con la Repubblica d'Irlanda apre un altro fronte critico per il governo di Londra, già alle prese con le aspirazioni secessionistiche delll'europeista Scozia
LONDRA. Svolta dal sapore storico - fra entusiasmi, inquietudini e incognite - in Irlanda del Nord: ultima frontiera nello scrutinio della tornata di elezioni amministrative che giovedì ha avuto luogo nel Regno Unito suggellando nel resto del Paese (fra i Municipi d'Inghilterra, Scozia e Galles) l'attesa sconfitta del Partito conservatore del premier Boris Johnson, azzoppato dallo scandalo Partygate, senza consegnare tuttavia una vittoria vera all'opposizione laburista.
Nella più piccola e turbolenta nazione del Regno il risultato è stato viceversa chiarissimo nel suo significato, suggellato dal sorpasso dei repubblicani cattolici dello Sinn Fein, ex braccio politico di quella che fu la guerriglia dell'Ira fino alla sanguinosa stagione dei Troubles, sulla maggiore formazione unionista protestante, il Dup, battuto non solo in termini percentuali (29% contro 21,3 dei consensi), ma soprattutto - e non era mai accaduto - per numero di seggi: 28 contro 25 sui 90 totali che compongono l'assemblea parlamentare locale di Stormont, a Belfast.
Una maggioranza relativa che, in ogni caso, assicura al partito simbolo del nazionalismo irlandese più identitario di marca operaia e cattolica il diritto di candidarsi alla guida d'un nuovo governo unitario locale, invertendo per la prima volta i rapporti di forza rispetto al Dup nell'ambito della problematica alleanza fra opposti che amministra tradizionalmente questo territorio martoriato sin da dopo la pace del Venerdì Santo del 1998.
"Oggi entriamo in una nuova era, è un momento cruciale per la nostra vita politica e il nostro popolo", ha esultato a caldo la leader Michelle O'Neill, 45 anni, capofila dello Sinn Fein nel nord, senza nascondere l'ambizione di passare dalla carica di vicepremier ricoperta negli anni scorsi a quella di first minister di Belfast, per lasciare stavolta il ruolo di vice al Dup.
"Esprimerò una leadership inclusiva, che celebri le diversità garantendo diritti ed eguaglianza a coloro che sono stati esclusi, discriminati o ignorati nel passato", ha quindi aggiunto fra le ovazioni dei sostenitori che negli ex quartieri ghetto di Belfast, Derry (Londonderry solo nella denominazione lealista o britannica) e di altre località si lasciavano andare a una gioia innaffiata di birra e sensazioni di rivincita.
La partita in realtà inizia adesso per lo Sinn Fein, vincitore per proporzione di suffragi anche in Irlanda della Sud alle ultime elezioni politiche della Repubblica, sotto la leadership di un'altra donna, Mary Lou McDonald, ma poi a Dublino tagliato fuori dal governo.
Il Dup, per bocca del suo numero uno, Jeffrey Donaldson, ne ha subito riconosciuto il successo congratulandosi con O'Neill. Ma senza dare per scontato a priori il via libera a un governo di coalizione guidato dalla donna che con McDonald ha normalizzato - sull'onda di un chiaro ricambio generazionale - il partito ereditato da reduci della stagione della lotta armata come Gerry Adams o Martin McGuinness: partito che peraltro continua a sventolare la bandiera nazionalista della riunificazione con la Repubblica d'Irlanda, per quanto in una prospettiva temporale indeterminata frenata dal sostanziale stallo demografico e dal fatto che Dublino si guarda bene al momento dal sostenere concretamente un orizzonte conflittuale; e che sul piano economico-sociale rivendica posizioni di sinistra radicali se paragonate al tradizionalismo destrorso di Donaldson e dei suoi.
Se la trattativa dovesse saltare, sullo sfondo delle tensioni post Brexit riemerse nei mesi scorsi in Ulster, la gestione dell'amministrazione di Belfast tornerebbe d'altronde nella mani del governo centrale Tory di Londra. Da dove il ministro per gli Affari Nordirlandesi di Boris Johnson, Brandon Lewis, non ha mancato d'incoraggiare repubblicani e unionisti a trovare comunque un'intesa anche nel nuovo scenario, a rimanere fedeli alla pace del Venerdì Santo, a non interrompere la strada "della riconciliazione". Oltre che ad archiviare le rispettive etichette ulteriori recenti di anti-brexiteer e brexiteer.
Senza dimenticare le tensioni politiche attese anche in Scozia, dove molti sperano in un nuovo referendum secessionista (inviso a Londra che potrebbe ostacolarlo), per la nazione che è in maggioranza europeista ma che ha subito la decisione della Brexit nel voto referendario nel Regno unito.