Il Nobel per la pace all'iraniana Narges Mohammadi, ma lo ritirano i figli: lei è in prigione a Teheran
Oggi, 10 dicembre, a Oslo, la cerimonia di consegna del prestigioso riconoscimento alla giornalista e attivista per i diritti delle donne e contro la pena di morte. Ha inviato un messaggio in cui condanna il "regime religioso tirannico e misogino" del suo Paese
TRENTO. Nel municipio a Oslo si è svolta poco fa la cerimonia per la consegna del Nobel per la Pace, con una sedia sul palco rimasta vuota: l'attivista iraniana premiata Narges Mohammadi è detenuta nella prigione di Evin, a Teheran. I figli gemelli, Kiana e Ali di 17 anni, presenti alla cerimonia hanno ritirato il premio e hanno letto il discorso di ringraziamento scritto dalla madre.
Nel suo messaggio l'attivista iraniana ha condannato il "regime religioso tirannico e misogino" dell'Iran.
Strenua oppositrice dell'obbligo di indossare l'hijab per le donne, attivista per i diritti femminili e contro la pena di morte nel Paese, Mohammadi è detenuta dal 2021. Oggi ha iniziato un nuovo sciopero della fame.
La sua lotta è quella di moltissime donne iraniane, ma anche di uomini, contro un regime liberticida e ispirato da un fanatismo religioso utilizzato per imporre una dittatura patriarcale.
Cinquantuno anni, giornalista, Narges Mohammadi deve scontare una somma di condanne a 31 anni.
La motivazione del premio Nobel sta nella sua "lotta contro l'oppressione delle donne e l'incessante battaglia, con costi personali enormi, per favorire i diritti umani e la libertà per tutti".
Narges negli ultimi 25 anni è stata sistematicamente imprigionata e condannata dai tribunali della Repubblica islamica per le campagne contro il velo obbligatorio e la pena di morte. Ma la 'leonessa dell'Iran', come la chiamano le donne della sua terra, non ha mai ceduto alla pressione devastante della clausura forzata: proprio il 16 settembre, per ricordare l'anniversario della uccisione di Mahsa Amini, la 22enne curda morta mentre era sotto la custodia della polizia morale per non aver indossato l'hijab correttamente, insieme con altre tre detenute ha bruciato il velo nel cortile della prigione di Evin a Teheran, dove è costretta a coprire con il velo i suoi lunghi capelli neri.
Indomabile, ha scritto una lettera alla France Presse: "Il movimento 'Donna, Vita, Libertà' ha accelerato il processo di democrazia, che ora è irreversibile". Mohammadi è una vera spina nel fianco degli ayatollah, soprattutto perchè è diventata un simbolo, a cominciare da quel giorno del 1998 in cui ai suoi polsi scattarono le manette per la prima volta per aver criticato il governo. Fu l'inizio del calvario.
Nell'aprile 2010 venne convocata dalla Corte rivoluzionaria islamica per l'adesione al Centro per la difesa dei Diritti Umani. Poi rilasciata con una cauzione di 50mila dollari e nuovamente arrestata qualche giorno dopo e rinchiusa nella prigione di Evin. Una volta fuori, Narges è stata nuovamente imprigionata nel luglio 2011. Quindi è tornata in carcere nel 2015. E nel 2016.
Il 16 novembre 2021, in un raro periodo di libertà, mentre partecipava ad una cerimonia commemorativa nella città di Karaj in ricordo di Ebrahim Ketabdar, ucciso dalle forze dell'ordine durante le proteste del novembre 2019, le guardie islamiche l'hanno avvicinata e nuovamente arrestata.
Il 15 gennaio 2022 è stata condannata a otto anni e due mesi di reclusione, due anni di esilio e 74 frustate. Amnesty International ha denunciato che all'attivista sono state negate le cure mediche, nonostante soffra di una malattia polmonare.
"Complessivamente, il regime l'ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte a un totale di 31 anni di prigione", ha detto Berit Reiss-Andersen, capo del Comitato norvegese per il Nobel a Oslo. Ma Narges non lascia il campo di battaglia, neppure da dietro le sbarre, consapevole di non avere alcuna possibilità di tornare libera. Almeno fino a quando ci saranno gli ayatollah. "Pace e diritti umani sono i miei obiettivi, sono decisa a provarci anche più di prima - disse in un videomessaggio tre anni fa -. Sono certa che con i nostri sforzi, grazie alla perseveranza e alla protezione di chi si batte con noi per i diritti umani, vinceremo".