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Urne aperte in Abruzzo, si vota fino alle 23: il Campo largo sfida la destra

Duello fra il candidato meloniano Marco Marsilio, primo presidente di Regione di FdI, e l'ex rettore dell'UniTeramo Luciano D'Amico, che ha riunito l'intero centrosinistra

PESCARA. I seggi per le elezioni regionali in Abruzzo si sono aperti alle 7 e si chiuderanno questa sera alle 23. Al termine inizieranno le operazioni di spoglio.

Si va al voto in 305 comuni: il totale dei votanti è pari a 1.208.276 di cui 592.041 uomini e 616.235 donne su una popolazione censita di 1.275.950. Le sedi dei seggi elettorali sono 1.634 di cui 13 ospedaliere.

Solo qualche settimana fa, Marco Marsilio (a sinistra nella foto) e Luciano D'Amico non avrebbero immaginato di avere i riflettori di tutta Italia puntati sui rispettivi comitati elettorali. I due candidati alla presidenza della Regione Abruzzo, alla vigilia del voto, provano a godersi qualche ora di relax. Ma la tensione è palpabile.

Per entrambi non è facile smaltire gli affanni di una corsa all'ultimo voto. Tra viaggi in macchina, palchi, piazze e bagni di folla. E con tutti i protagonisti della politica nazionale accorsi nelle quattro province per sostenerli: la testimonianza che la partita disputata qui non è solo una contesa locale, ma qualcosa di più. A decidere il risultato finale, però, saranno gli elettori abruzzesi.

Intanto, nel lungo silenzio elettorale, i leader politici sfogliano pronostici e coltivano speranze. Da una parte e dall'altra, gli occhi sono puntati sui dati dell'affluenza.

Con il secondo dato parziale, quello delle 19, che potrebbe già smorzare entusiasmi o accrescere timori. Il centrodestra, a sostegno di Marsilio, è convinto di poter raggiungere un risultato storico: confermare un presidente uscente alla guida della Regione.

Il centrosinistra, con il campo larghissimo a sostegno di D'amico, crede in una rimonta considerata quasi impossibile all'inizio della competizione. Ma tra le prime battute e gli ultimi infuocati giorni della campagna abruzzese, è arrivato il responso delle urne sarde. "L'effetto Sardegna", come lo definiscono in molti, ha acceso gli animi e reso sempre più evidente che in Abruzzo si potesse giocare un mini-test per la politica nazionale.

La premier Giorgia Meloni, dopo aver forzato sulla candidatura sarda di Paolo Truzzu, mette la faccia su un altro candidato di bandiera: il fedelissimo Marsilio, primo presidente di Regione di FdI.

Il centrosinistra evidenzia il nervosismo e la preoccupazione degli avversari, insiste sul fatto che una sconfitta del candidato di Meloni in Abruzzo possa rappresentare un duro colpo per il governo. Ipotesi respinta dai leader del centrodestra, che uniti sul palco di Pescara minimizzano: nessun contraccolpo per la maggioranza.

Tuttavia, le urne abruzzesi rimangono un'ulteriore prova, dopo quello sarda, per soppesare gli equilibri interni tra i partiti al governo. Anche in vista delle elezioni europee.

Con la Lega che rischia il sorpasso di Forza Italia, e che in caso di crollo dei consensi vedrebbe acuirsi i malumori interni. Il campo larghissimo a sostegno dell'ex rettore dell'UniTeramo, crede invece che il vento sardo possa soffiare anche qui in Abruzzo.

Non a caso D'Amico ha scelto di chiudere accanto ad Alessandra Todde una campagna giocata sull'opposizione netta alla destra, nel tentativo di far coincidere, agli occhi degli elettori, il locale con il nazionale, la giunta Marsilio con il governo Meloni.

Il centrosinistra rilancia la sua "unità" dall'Abruzzo e vede la possibilità di un riavvicinamento tra il Pd di Elly Schlein e il M5s di Giuseppe Conte. Che si impegnano nella costruzione dell'alternativa di governo e sperano nel voto di opinione degli abruzzesi. È proprio dalle parti di un centrosinistra entusiasta che si guarderà con più insistenza ai dati dell'affluenza, con l'augurio di recuperare terreno nello spicchio dei delusi e degli indecisi. Che l'affluenza possa spostare l'asticella, anche se di poco, è opinione diffusa anche in parte del campo avverso.

Ma il centrodestra, dopo una campagna puntata sul buongoverno locale, in continuità con quello nazionale, è convinto: non ci sarà un testa a testa.

Un pronostico positivo, dato dalla convinzione di aver costruito liste forti, con candidati che hanno radicato il loro consenso nel territorio. Una cosa è certa. Dal 2010, in Italia, non succedeva che a sfidarsi per un seggio di governatore fossero solo due candidati. Circostanza che ha favorito la polarizzazione della disputa.

Ora i due contendenti abruzzesi provano a riposare. Marsilio fa footing e va al museo. D'Amico pranza con la famiglia a Torricella Peligna. Domani seguiranno lo spoglio a Pescara, insieme a oltre 200 operatori della stampa accreditati.

La posta in gioco per queste elezioni regionali in Abruzzo è più alta "chiaramente per il centrodestra. Ogni verifica si riflette immediatamente sul governo. Sappiamo non ci sono problemi numerici per la maggioranza, ma è inevitabile una fibrillazione data l'elevata conflittualità interna".

Lo spiega il politologo Paolo Feltrin, già docente di scienza della politica all'Università di Trieste, ed esperto in materia elettorale, in un'intervista al QN nel giorni delle regionali in Abruzzo.

"Il centrodestra ha il proprio punto di forza nella capacità di fare coalizione, mentre è debole dal punto di vista della candidature - prosegue -. Il centrosinistra ha problema opposto: buoni candidati, ma fatica a realizzare l'unità. E per vincere nei sistemi bipolari non ci vuole il campo largo, ma quello larghissimo. Non basta l'accordo Pd-5 Stelle: va esteso alle aree di centro. In Abruzzo questo è riuscito".

La vittoria di uno o l'altro schieramento secondo l'esperto non può comunque avere ripercussioni nell'immediato. "No. Perché è tutto rinviato a dopo le Europee. Siamo alle prime giornate di un campionato che si chiude con le Europee - spiega - . Dopo è sensato immaginare un rimpasto di governo, per aggiustare le pedine che non funzionano".

Quello che non va secondo il politologo è infine "la follia di queste elezioni a getto continuo. Due anni fa, con un gruppo di studiosi, abbiamo redatto un libro bianco sull'astensionismo. Una delle prime indicazioni era l'Election Day, non più di una o due volte l'anno - conclude -, altrimenti si vive in una sorta di campagna permanente. Il cui primo effetto è che la gente non ne può più, quindi non va a votare".

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