Europa / Il caso

Jourová (Ue): restano i dubbi sul rispetto dello stato di diritto in Ungheria

Lo ha detto la vicepresidente della Commissione europea, ieri la visita a Roma del primo ministro magiaro Orban, accolto da Giorgia Meloni: strategie politiche differenti nella nuova Ue e sull'Ucraina, ma asse sovranista rinsaldato su temi come migrazioni e denatalità

LUSSEMBURGO. "Spero in discussioni aperte con la delegazione ungherese, la Commissione continua ad avere perplessità, sui media, sulla libertà economiche, sulla libertà di associazione, sul regime di emergenza che ancora c'è dopo del tempo".

Lo ha detto Věra Jourová, Vicepresidente della Commissione europea con delega ai Valori e alla Trasparenza, a proposito dell'audizione di Budapest al Consiglio Affari Generali nel quadro della procedura dell'articolo 7. "La presidenza ungherese sarà importante per mostrare che possono interpretare il ruolo di onesto mediatore. Lo slogan Mega? Non è molto originale, no?", ha aggiunto.

Ieri, intanto, la premier italiana Giorgia Meloni ha ricevuto a palazzo Chigi il suo omologo ungherese Viktor Orban, un faccia a faccia fra due esponenti della destra nazionalista, alla vigilia della grande partita europea delle nomine.

La riunione fotografa due strategie politiche differenti nella nuova Ue, ma un asse rinsaldato su temi come migrazioni e denatalità. L’arrivo del primo ministro ungherese a Roma rientra nel tour ristretto da lui organizzato tra Germania, Italia e Francia, prima di prendere la guida (dal 1° luglio) del semestre di presidenza europeo. Meloni afferma di «condividerne le priorità, a partire dalla decisione di inserire la sfida demografica», Orban rilancia annunciando che in tema di migrazioni «appoggerà tutto ciò che la premier ha proposto», perché «o c’è un progetto di sviluppo per l’Africa o ci sarà una migrazione di massa che non potremo gestire».

La linea comune si estende anche alla difesa e alla competitività. Le posizioni differenti sulla guerra in Ucraina, invece, costituiscono il bivio da cui i due premier prendono strade diverse: Meloni dialogante con il Ppe e al lavoro per un posto di rilievo per l’Italia in commissione; Orban nettamente all’opposizione e durissimo contro «il patto partitico sui top jobs» che non rispecchia lo spirito originario dell’Unione.

Eppure tra i due c’è aria d’intesa. A Orban in Ue serve la sponda di Meloni e viceversa.

«L’Italia è uno dei nostri alleati più importanti nel raggiungimento dei nostri obiettivi nel campo della migrazione e della competitività. Grazie per la vostra ospitalità, primo ministro Giorgia Meloni!», twitta il primo ministro ungherese durante l’incontro. Al termine chiarisce che tra gli argomenti affrontati non ci sono questioni di partito che «abbiamo già chiuso lunedì a Bruxelles: noi seguiamo la politica nazionale e non possiamo fare parte di una famiglia politica dove c’è un partito rumeno che è anti-ungherese. Ma ci impegniamo a rafforzare i partiti di destra europei anche se non siamo nello stesso gruppo». Meloni affronta in maniera soft il principale ostacolo, per parte di Ecr, ad un ingresso di Orban, ovvero il conflitto ucraino: «Le nostre posizioni non sono sempre coincidenti ma apprezzo la posizione ungherese in Ue e Nato che consente agli alleati di assumere decisioni importanti anche quando non è d’accordo. Con Viktor abbiamo ribadito il sostegno all’indipendenza e sovranità ucraina». La premier, insomma, gioca su due piani. Da un lato, forte degli ottimi rapporti con Ursula von der Leyen e dell’appoggio di Antonio Tajani nel Ppe, si prepara a dialogare con la maggioranza e lavora sul tavolo dei top jobs per ottenere quanto più possibile per l’Italia. Dall’altro continua tessere la rete con le altre destre europee tenendo alti i cavalli di battaglia comuni per intensificare il pressing esterno sui temi.

L’ipotesi per i conservatori è quella di un appoggio esterno ad un bis della von der Leyen. L’Italia, di contro, potrebbe incassare il via libera ad un «commissario di peso che sia vicepresidente», figura per cui in pole c’è Raffaele Fitto. Fitto, che nell’esecutivo Meloni ha la delega al Pnrr, viene considerato una figura chiave della compagine di governo e Meloni non avrebbe ancora sciolto la riserva. Ma se a Palazzo Chigi sui nomi le bocche sono cucite, qualche indicazione si può ottenere da FdI: «Fitto in Europa? Dipenderà dalla delega», commenta un esponente di spicco del partito di Meloni.

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