La Chiodi, la Dominici e l'articolo davanti ai nomi

Purtroppo esiste un movimento culturale che fa uso politico del linguaggio nel nome del «politicamente corretto». In realtà è uno storpiamento della lingua italiana di natura ideologica per fini rivendicazionistici di natura politica. Insomma, nulla a che fare con il dizionario e la grammatica. Anche se non è elegantissimo ed è più colloquiale che scritto, credo si possa tranquillamente scrivere in un articolo di giornale «la Dominici rivendica un posto in giunta», senza fare alcuno sgarbo alla femminilità di Caterina

di Pierangelo Giovanetti

Caro direttore, ti voglio esternare una svagatezza d'anno nuovo, coinvolto da un messaggio di Concita De Gregorio, «direttore» de L'Unità. Specifica l'agenzia Adnkronos che Concita scarta «direttrice» perché la parola le fa pensare a chi dirige «carceri, scuole e istituzioni gerarchiche, ispirate a un criterio di ordine con un vago retrogusto punitivo». Scarta per ora «direttora», anche se riconosce che nella nuova parola (che le pare però «brutta») c'è «tutto un movimento politico e culturale che spinge per una declinazione al femminile e fa un uso politico del linguaggio». Ma questa sua crociata contro il «vizio del giornalismo italiano» è quello di opporsi ad «assegnare l'articolo determinativo a un nome femminile». In applicazione nostrana, «la» Dominici (l'ineffabile Caterina) per Concita non ci sta. L'articolo non si deve usare perché «ingiurioso»: «reifica» nomi femminili, «li spersonalizza, li mette al rango di una tazza di tè». L'uso del detestato determinativo «nasce dal principio che la norma sia basata su "il" maschile». Ma, secondo Concita, «non esiste norma». Anzi, visto che la maggioranza della popolazione è femminile, si dovrebbe decidere il contrario e dire «lo Zoff», non «l'Aspesi» (Natalia). Un pasticcio. La storia della lingua insegna altro. In passato, l'articolo si usava anche al maschile (il Manzoni, il Moravia) ma poi pian piano è caduto. Giorgio De Rienzo si chiede sul «Corriere»: nulla di male farlo cadere anche al femminile, ma non diventa scortesia? Personalmente, in queste stringatezze dei giornali, ci vedo quanto meno l'iniziale inafferrabilità «tecnica», la configurazione del soggetto. Noi Ds, candidiamo Chiodi. Solo alla terza riga diventa Wanda. Insomma, tutto si deve ridurre al risparmio, nella frenesia di un titolo voluto sintetico? Domanda svagata di capodanno. Non lo nego, ambirei anche sentire cosa ne dice Giovanazzi. Nel dettaglio, «la» Lia Beltrami, «assessore» provinciale, capace di visione di mondo. Al momento, direttore, mi accontenterebbe sapere del tuo navigare tra Concita e me.
 
Giorgio Grigolli
 
Secondo la «Grammatica italiana» del Serianni (Utet) nella lingua italiana l'articolo determinativo «può essere usato davanti ai nomi propri femminili, quando sono adoperati in registro familiare-affettivo, ma non davanti ai nomi propri maschili». Dire: «la Moratti è un bravo sindaco» è quindi corretto, anche se fa parte di un linguaggio parlato e d'uso comune più che di scrittura aulica. La discussione si apre perché l'utilizzo dell'articolo determinativo davanti ai nomi propri è tipico di alcune aree del Paese, ma non di tutte. È d'uso normale, per esempio, in Lombardia e in tutte le zone del Nord vicine alla Svizzera e all'area tedesca che comunemente pongono l'articolo determinativo davanti ai nomi (der Markus, die Sabine). È del tutto assente, invece, al Sud, da Roma in giù, dove suona addirittura male, come un dialettismo padano. Probabilmente Concita De Gregorio, figlia di madre catalana e di padre di origini siciliane, anche se nata e crescita in Toscana, risente di questo fastidio meridionale verso l'articolo davanti ai nomi propri. Non sarà elegantissimo scrivere sul giornale «la Chiodi guiderà il Pd al congresso», ma è efficace perché individua subito il soggetto e dà un'informazione in più rispetto ad un anonimo «Chiodi guiderà il Pd al congresso» (sarà Ennio o Wanda?). In molte aree del Nord (compreso il Trentino Alto Adige) si usa del resto comunemente nel linguaggio colloquiale anche l'articolo davanti ai nomi propri maschili, a dimostrazione che è una fesseria leggervi intenti discriminatori di genere. Purtroppo - ma l'abbiamo già scritto, e in questo concordo pienamente con la collega Concita - esiste un movimento culturale che fa uso politico del linguaggio nel nome del «politicamente corretto». In realtà è uno storpiamento della lingua italiana di natura ideologica per fini rivendicazionistici di natura politica. Insomma, nulla a che fare con il dizionario e la grammatica. Anche se non è elegantissimo ed è più colloquiale che scritto, credo si possa tranquillamente scrivere in un articolo di giornale «la Dominici rivendica un posto in giunta», senza fare alcuno sgarbo alla femminilità di Caterina. p.giovanetti@ladige.it

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