Nessu bavaglioai filibustieri
Il caso Feltri-Boffo, l'informazione e la democrazia nell’Italia di oggi
« Disgustoso»: i prìncipi della Chiesa li scelgono accuratamente, gli aggettivi. E se il cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, l'ha utilizzato per bollare d'infamia l'inaudito attacco del direttore del giornale berlusconiano Feltri al direttore del giornale cattolico Boffo, l'avrà sicuramente meditato e giudicato consono a esprimere il ribrezzo ecclesiastico verso chi rimesta nel torbido per infangare coloro che osano criticare (pur con curiale prudenza) i disinvolti costumi del presidente del consiglio. Come se il direttore di «Avvenire» - scelto in piena libertà dai vescovi italiani per dirigere un giornale che nessuno è obbligato a comprare - dovesse rendere conto a tutti gli italiani, come invece è tenuto a fare l'uomo che dalla maggioranza degli italiani è stato eletto per dirigere il Paese di tutti, e non solo dei berlusconiani che continuano ad amarlo con intatto trasporto politicherotico.
In effetti, è piuttosto disgustoso e anche nauseante sparare in prima pagina una infima, passata vicenda giudiziaria di molestie telefoniche sullo sfondo di relazioni «particolari» (come si diceva una volta) per bastonare il direttore del giornale dei vescovi che ha osato dare qualche timido spazio al disagio cattolico nei confronti del libertinaggio del premier. Feltri sa benissimo che il punto debole della Chiesa - come di ogni autorità morale - è il rapporto tra i valori predicati e i comportamenti vissuti, e così fruga nell'immondizia per buttare vere o presunte porcheriole («umane debolezze», dicono i preti) in faccia agli odiati moralisti. Che se per giunta sono in odore di omosessualità, peste li colga, moraleggia l'eterosessuale antimoralista superstipendiato dal fratello del presidente del consiglio, proprietario del «Giornale».
I dietrologi, quorum non ego, hanno una bella serie di domande interessanti a cui rispondere: l'ordine del killeraggio anti-Boffo è partito dall'alto, diciamo da Palazzo Chigi? ma perché fare esplodere la bomba proprio il giorno in cui Berlusconi tentava di fare pace con la Chiesa italiana? solo perché Feltri, genio dello scoop di destra, se ne frega anche del suo principale e deve gridare al mondo di essere tornato più impavido che pria al timone del Giornale? oppure la bomba è stata confezionata da qualcuno - nelle stanze vaticane - che voleva far male contemporaneamente a Boffo e al cardinal Bertone e al presidente del consiglio? è l'inizio delle grandi manovre per la successione a Boffo (15 anni di direzione) o per la successione al Cavaliere (15 anni dalla sua discesa in campo)? e a chi giova l'esplosione dell'immondizia con schizzi mefitici a 360 gradi?
Non disponendo delle informazioni e degli strumenti per rispondere a questi inquietanti interrogativi, auguriamo buon lavoro ai dietrologi e ai monnezzologhi, e ci limitiamo a dire che però, nonostante tutto, a fronte di progetti di legge imbavagliatori e castiga-giornali, è preferibile una scassata, immorale, disgustosa libertà di stampa a un sistema di censure e di repressioni. La libertà di sparare immondizia è profondamente democratica: sono i lettori che giudicheranno se di vera monnezza si tratta e se vale il prezzo di copertina. Certo, non c'è par condicio perché gli antiberlusconiani non hanno il potere finanziario e dunque il fuoco mediatico di cui dispone il clan del premier e per questo il servizio pubblico della Rai dovrebbe essere il luogo del massimo pluralismo e della libertà di accesso e di comunicazione: anche per chi non è straricco e non ha una sigla di partito sulla giacca. Ma questo è un discorso vecchio e lungo. Nel frattempo, teniamoci stretta la libertà di stampa perché - lo prescrive anche il Vangelo - bisogna che gli scandali avvengano, perché l'ipocrisia (di cui sono maestri tanto i cardinali quanto i politici) è peggio dell'immondizia sventolata in faccia al pubblico e ai diretti interessati.
I quali, se ingiustamente «sputtanati» (termine quanto mai tecnico in questi frangenti) hanno un bellissimo reato da denunciare: si chiama diffamazione a mezzo stampa, e un tribunale giudicherà se la polemica giornalistica sia stata espressione di diritto di cronaca e di legittima opinione, o pestaggio verbale squadristico in mala fede con uso di immondizia artatamente assemblata, che è giusto sanzionare (anche perché spesso è molto più doloroso) almeno come un'aggressione in strada con coltelli e manganelli. Altre leggi, altre riforme non servono contro i filibustieri dell'immondizia. Servirebbe solo la crescita di un'etica giornalistica che però è affidata all'autoconsapevolezza della categoria e all'autogoverno dell'Ordine dei giornalisti più che ai codici penali. Servirebbe un'informazione meno inquinata dalla partigianeria. Servirebbe, quella sì, una legge sul conflitto d'interessi che impedisse a un capo di governo di essere anche padrone di giornali. Ma qui entriamo nella fantapolitica. Intanto, oggi, accontentiamoci di difendere la libertà di scrivere di tutto e di tutti, anche a costo di ritrovarci l'aria inquinata dalla melma sordida delle mezze verità private sparate nel pubblico ventilatore, affinché si realizzino i massimi comandamenti dei moralizzatori antimoralisti: scaglia la prima pietra, infanga il prossimo tuo, uccidi l'onore di tuo fratello, qualche schizzo sulla camicia gli resterà, immacolato non ridiventerà. Schizzatore e schizzato saranno entrambi più sporchi, ma il mondo sarà, dopo un bagno di fogna, più adulto, disilluso, cinico, demoralizzato e informato.
p.ghezzi@ladige.it