Un fondo (sovrano)per Eurolandia

«Lo stesso Tremonti, in passato - scrive nel suo editoriale Renzo Moser - aveva suggerito un'evoluzione della Bei, la Banca europea degli investimenti, in una sorta di Fondo sovrano europeo, mentre Morgan Stanley aveva proposto l'istituzione di un fondo sovrano sovranazionale da finanziare con la vendita delle riserve aurifere del Fondo monetario internazionale. Quello che appare certo è che di un simile strumento si sente la mancanza» 

di Renzo Moser

borsaCome si fa a spiegare a un operaio del Baden-Württemberg o un impiegato berlinese (ma la stessa cosa si potrebbe dire di un contadino della Borgogna o di un portuale di Marsiglia) che parte dei suoi soldi verranno utilizzati per permettere al suo omologo greco di continuare ad andare in pensione a 60 anni, mentre lui deve «tirare» fino a 67?
Come si fa, senza pretendere che Atene venda le sue isole o l'Acropoli al miglior offerente, come ha (seriamente) proposto qualche politico? Se lo stanno chiedendo in molti, in questi giorni, in Germania e in Francia, i due paesi più impegnati (e più esposti) sul fronte greco. Un fronte sempre più caldo e preoccupante: Atene, nelle parole del premier Giorgio Papandreou, ha rischiato e rischia la bancarotta. Per questo ha varato tagli alla spesa per 4,8 miliardi, sforbiciando salari e tredicesime. Per questo ha sollecitato l'aiuto della Ue Tocca all'Eurozona disinnescare una minaccia devastante per la moneta unica, qualora i «sirtaki bond» si trasformassero nei «tango bond» d'Europa. Tra una conference call e l'altra, con i governi ancora incerti sul da farsi, e i manifestanti greci che bruciano in piazza le bandiere dell'Unione, le più decise a muoversi sono state Berlino e Parigi. A ragione: le banche francesi e tedesche sono le più esposte con la Grecia, 80 miliardi le prime, 40 miliardi le seconde. Si stima che il sistema bancario renano abbia in portafoglio l'equivalente della metà del Pil greco. Se consideriamo l'intero e poco onorevole club dei «Pigs» (i «maiali», al cui interno l'Italia ha, per ora, lasciato il posto, la «i» dell'infamante acronimo, all'Irlanda), si calcola che le banche franco-tedesche siano esposte, tra titoli pubblici e privati, per circa 500 miliardi di euro.
Ma un intervento bilaterale per garantire il rifinanziamento del debito greco e la solvibilità della Grecia, ha già mostrato, ben prima di concretizzarsi, tutti i suoi limiti, e non solo per la ben nota «no bail out clause», la regola sancita dal Trattato di Maastricht, secondo la quale gli stati Ue non possono farsi garanti del debito di un paese membro. E in ogni caso apparirebbe difficile distinguere dove finisce il salvataggio della Grecia, e quindi, indirettamente, dell'euro e dell'Unione monetaria, e dove inizia il salvataggio delle banche di casa, pesantemente esposte con Atene. Vanno dunque percorse altre strade. Da tempo il ministro dell'Economia italiano, Giulio Tremonti, sulle tracce di un grande europeista come Jacques Delors, perora la causa di un mercato di «Union Bond», un mercato, cioè, di titoli di stato europei, da utilizzare non solo come pronto soccorso finanziario nei momenti di crisi e di rischio insolvenza in un paese membro dell'Eurozona, ma anche per stimolare la crescita (sostegno alla domanda, finanziamento di infrastrutture e opere pubbliche). Su questa stessa linea si è inserito, nei giorni scorsi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, riferendosi al caso greco, ha sottolineato come, per affrontare gravi emergenze monetarie e finanziarie, nell'Unione europea manchi «qualcosa nell'armamentario comune». Su quale possa essere quel qualcosa che manca, si dibatte in realtà da molto tempo. Lo scorso fine settimana, il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha ripreso l'idea di un Fondo monetario per l'Europa, agganciandosi alla proposta degli economisti Thomas Meyer (Deutsche Bank) e Daniel Gros (Centre for European policy studies), che però incontra forti resistenze. Un'ipotesi, concreta e suggestiva ad un tempo, era stata rilanciata dall'economista Alberto Quadrio Curzio, che ha proposto la creazione di un fondo sovrano europeo, cui assegnare una dotazione finanziaria ricorrendo alle riserve auree delle banche centrali. Il che, con l'oro ben al di sopra dei 1.100 dollari l'oncia, garantirebbe una potenza di fuoco tale da fare del nuovo strumento il più grande fondo sovrano sul mercato. Lo stesso Tremonti, in passato, aveva suggerito un'evoluzione della Bei, la Banca europea degli investimenti, in una sorta di Fondo sovrano europeo, mentre Morgan Stanley aveva proposto l'istituzione di un fondo sovrano sovranazionale da finanziare con la vendita delle riserve aurifere del Fondo monetario internazionale. Quello che appare certo è che di un simile strumento si sente la mancanza. La si sentiva già prima della crisi, quando i fondi sovrani, buona parte dei quali finanziati dai profitti petroliferi, imperversavano sui mercati (difficile sapere se Dio sia davvero tornato a Wall Street, ammesso che ci sia mai stato, come disse il direttore dell'Economist, in un'intervista a Famiglia Cristiana; di sicuro, a Wall Street, e non solo, si è molto avvicinato Allah). La si sente a maggior ragione ora che ci sarebbe bisogno di uno scudo finanziario.
Senza intaccare la regola aurea secondo la quale ogni stato «deve fare i suoi compitini» (Helmuth Kohl lo ripeteva spesso, riferendosi alla rincorsa italiana all'euro), e di fronte al rischio insolvenza, di fronte a un rischio domino (Grecia, Spagna, Italia,...), avere a disposizione uno strumento «interno» per assicurare il rifinanziamento del debito di un paese membro in difficoltà rappresenterebbe una discreta assicurazione sulla vita per la moneta unica, un potente strumento anticongiunturale, e un'arma altrettanto potente per controbilanciare le aggressive strategie di espansione finanziaria di molti fondi sovrani di scarsa trasparenza e dubbia affidabilità democratica.
r.moser@ladige.it

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