La cura dei prati ci salva dalle frane
Piove, ed è la resa dei conti: solo se i denari erogati per la manutenzione della aree di montagna sono stati usati correttamente ora possiamo sentirci al sicuro
Le immagini di torrenti ingrossati e di esondazioni fa la sua puntuale comparsa, con il corollario di persone in pericolo e di automobili trascinate dalla furia delle acque. Ed è a questo punto che si torna a parlare di “rischio idrogeologico”, ovvero della possibilità che i versanti non siano in grado di assorbire l’acqua che vi scorre sopra. Ed è a questo punto che va ricordata l’importanza della “manutenzione” delle nostre montagne.
(… mi spiace per il lettore che in precedenti post aveva inveito “odio le montagne”, ma questa nostra realtà è piuttosto imprescindibile)
Il verde da cartolina dell’Alto Adige non ha valenza esclusivamente estetica, e nasce da fattori legati all’attività umana, come la cura dei prati che prevede lo sfalcio e l’attenzione costante. Per questo sarebbero bene spesi tutti quei denari che vanno alla cura del territorio (e dico subito che l’unico verde che possiedo sono le piante di gerani sul balcone di casa mia), come documentato dall’Adige un paio di mesi fa, ben venti milioni di euro di contributi destinati dalle due Province (Alto Adige e Trentino) a chi tiene i prati in buona salute.
Sarebbero, va precisato, perché è adesso, alla resa dei conti, che la manutenzione del verde in montagna rivela tutta la sua efficacia, solo su prati correttamente sfalciati la pioggia arresta la sua corsa verso il basso, si infiltra, nutre e non fa danni. Su prati abbandonati, su erbe alte e impermeabili, l’acqua scivola via come su un enorme e pericoloso imbuto, che porta giù, a valle, dove sono le case, le strade, le persone.
Tutto nasce dalla conoscenza, che noi cittadini abbiamo dimenticato (il nido del cuculo non esiste, mi verrebbe da spiegare ad un altro affezionato lettore, ma questo non toglie che abbiamo la responsabilità di cercare di capire e di pretendere un corretto rapporto con l’ambiente naturale in cui viviamo).
E allora sarebbe opportuno imparare a riconoscere e difendere i prati magri, in cui la mancanza di concimazione ha favorito nel corso dei secoli lo sviluppo di una flora e varia (fino ad 80 specie per 50 m²), le cui radici si ancorano profondamente alla ricerca di preziosi elementi nutritivi, costituendo una valida protezione al fenomeno dell'erosione. Imparare a usare i prati di montagna ricchi di specie per la fienagione, che tra l’altro permette di produrre un latte ad altissima concentrazione di micronutrienti utili per la salute dell’uomo.
Distinguere tra bosco e sterpaglia, facendo tesoro dell’insegnamento delle generazioni precedenti che hanno trasformato le nostre montagne, perché non è sempre vero che “selvaggio è bello”. «La parola bosco non ha senso, il bosco maturo si forma in secoli, sempre con l'aiuto dell'uomo - spiega Giorgio Conti, specialista di territorio alla Ca' Foscari di Venezia - Questa che viene avanti è boscaglia spontanea, piante in competizione per l'acqua e il sole che occupano ogni spazio, si rubano nutrimento a vicenda e distruggono il sottobosco».
Scrive Paolo Rumiz, giornalista e appassionato di montagna: “Bombardata dal mito americano della «natura incontaminata», l'Italia non sente e non vede l'inselvatichimento che scatena incendi, spinge in città lupi e cinghiali, minaccia gli argini ad ogni pioggia d'autunno”.
Questo viene da pensare, guardando le piogge di questi giorni. E sperando che chi abita lassù, in alto, sia cosciente dell’importanza del suo lavoro. E chi sta quaggiù, in valle, a Trento, in Piazza Dante, sappia che i denari che destina non debbono essere sprecati ma sono essenziali. Per tutti.