Una rete per partorire, ma forse sarebbe meglio il ginecologo 

Da Roma indicazione su Ru486 e parti sicuri ma Rossi usa due pesi e due misure

di Patrizia Todesco

Dispiace sapere che in tema salute le direttive romane vengono accolte o no a seconda che facciano o meno comodo. Quando è arrivata l’indicazione che per utilizzare l’Ru486 (aborto farmacologico) era necessario un ricovero di tre giorni l’assessore Rossi si è affrettato a dire che occorreva uniformarsi al resto d’Italia. Il risultato è la gran parte delle donne optano ormai per quello chirurgico in quanto, nonostante sia più invasivo, alla sera possono tornare a casa.
Altro argomento, altra scelta.
La Conferenza Stato-Regioni ha recentemente approvato il programma per il parto sicuro. Tra i vari obiettivi c’è quello della ridurre i punti nascita, chiudere quelli con meno nascite (500 all’anno) e migliorare quelli più grandi (1.000). «Sulla salute decidiamo noi - ha però replicato ROssi - e confermo che io punti nascita non ne chiuderò». Punta sulla rete la sanità trentina. Ma una mamma che a Cavalese o Tione (dove i parti sono meno di 300 all’anno) si trova a dover partorire di notte e a dover subire un taglio cesareo d’urgenza perché il piccolo che ha in grembo è in sofferenza cosa se ne fa della rete? In periferia ginecologi e anestestisti di notte sono reperibili. Per arrivare dal letto di casa all’ospedale ci impiegano, se sono bravi, una ventina di minuti. Altrettanto per preparare la paziente, anestetizzarla e praticarle il taglio cesareo. Totale 40 minuti. È questa l’efficienza di cui possiamo vantarci? E soprattutto alle donne va bene correre qualche rischio in più solo per poter partorire più vicino a casa o se sapessero effettivamente le problematiche a cui potrebbero andare incontro opterebbero per un ospedale più attrezzato anche se più lontano?

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