La strage dei cristiani e la troppa indifferenza
Caro direttore, l'attentato suicida compiuto da due kamikaze terroristi fondamentalisti islamici, domenica mattina, nella chiesa protestante di Tutti i Santi a Peshawar in Pakistan al termine della messa domenicale, è stata motivata dal gruppo fondamentalista islamico Jandullah, dicendo: «Fino a quando i raid dei droni non saranno fermati continueremo a colpire, ovunque ne avremo la possibilità, obiettivi non musulmani». Ma cosa c'entrano i cristiani?
L'ignoranza dei terroristi islamici è impressionante; dimenticano la Giornata di digiuno e preghiera indetta da Papa Francesco per la pace in Siria, in Medio Oriente e nel mondo intero. Per l'occasione rinnovando il suo appello al dialogo aveva postato un tweet «La pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene dell'umanità». Nei precedenti tweet aveva affermato «Con tutta la mia forza chiedo alle parti in conflitto di non chiudersi nei propri interessi» e ancora «Non esiste un cristianesimo "low cost". Seguire Gesù significa andare contro corrente rinunciando al male e all'egoismo
».
Chissà se almeno le ultime parole del Papa Francesco raggiungeranno mai i terroristi islamici «Oggi nel Pakistan per una scelta sbagliata di odio e di guerra è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone (81 secondo l'Agenzia Ansa e 130 feriti). Questa strada non va, non serve, ma solo la strada della pace costruisce un mondo migliore».
Consolante la dichiarazione di Imran Khan, ex campione di cricket e capo di un partito laico il «Pakistan Tehreek e Insaf» (Movimento pachistano per la giustizia): «Siamo con i cristiani, in questo momento di dolore. I terroristi dovrebbero vergognarsi per questo massacro di civili».
E pensare che la storica chiesa, teatro della carneficina è stata costruita nel 1883 prendendo spunto dalle moschee, è rivolta verso la Mecca e costituisce un edificio simbolo del tentativo di pace, armonia e convivenza pacifica fra la maggioranza musulmana e la minoranza cristiana (1,6% della popolazione).
Intanto i cristiani copti della provincia di Minya in Egitto si sono ripresi gli edifici di culto, dopo un mese di attacchi islamisti. Ieri pomeriggio, migliaia di persone hanno partecipato alla prima messa celebrata nella chiesa della Vergine Maria situata nei resti del monastero di Anba Abraam a Delga (Minya, Alto Egitto) devastato dai Fratelli Musulmani.
Il villaggio roccaforte dei miliziani islamisti, riconquistato dall'esercito, era divenuto famoso per le violente persecuzioni contro la comunità cristiana locale, che per settimane ha subito ogni tipo di sopruso: dalla distruzione di ben 62 fra edifici religiosi e abitazioni, rapimenti, uccisioni sommarie, fino all'imposizione della «jiza», la tassa dovuta dagli «infedeli» alla comunità musulmana per aver salva la vita.
Gianni Zambaldi
Il massacro di cristiani domenica scorsa nella chiesa di Peshawar in Pakistan, non è che l'ultimo di una serie infinita di spietate mattanze nei confronti di minoranze religiose nel mondo, in particolare nei paesi a prevalenza musulmana. La volontà di colpire non-islamici e quindi di fare strage degli altri, cioè di coloro che non appartengono alla propria religione, è ciò che accomuna la strage davanti alla chiesa anglicana con i suoi oltre 82 morti e il sanguinoso assalto al centro commerciale di Nairobi.
In entrambi i casi la fede religiosa è presa a pretesto e a fondamento ideologico per giustificare attacchi armati e strategie politiche, dentro la logica di guerra (spacciata come «di civiltà») che muove Al Qaeda e i fondamentalisti talebani. È una strategia di espansione politica e militare basata sul terrore e le stragi, volta ad «epurare» qualsiasi elemento non musulmano e a compattare l'intero mondo islamico, a sua volta frammentato in sunniti, sciti e sufi. E ad esserne vittime sono civili inermi, donne, bambini, famiglie, che hanno l'unica sventura di essere cristiani, o di appartenere ad una minoranza religiosa diversa dall'islam.
Ciò che sgomenta, però, in questa strage e in tutte le altre, non è solo la carneficina di decine e decine di innocenti, senza alcuna ragione e motivo se non la loro appartenenza religiosa. È la semi-indifferenza con cui l'Occidente reagisce e non si mobilita, quasi che l'elemento «religioso» consenta di derubricare la mattanza in una «semplice» disputa fra fedi diverse. Quasi fossero le vittime davanti ad una chiesa, o nei confronti di minoranze hindu e sikh, di minor valore (e quindi di minor interesse da parte dell'opinione pubblica e dei governi europei e nordoccidentali) rispetto ad uccisioni per espliciti motivi politici. O uccisioni avvenute contro difensori della libertà e dei diritti dell'uomo.
In realtà tali attacchi condotti in nome di una religione contro credenti di altre religioni, violano il più basilare dei diritti umani, il diritto alla libertà religiosa. La libertà religiosa, infatti, in quanto libertà di coscienza, è il fondamento di ogni libertà, perché da essa discendono tutte le altre. Anche le libertà civili, politiche, di intrapresa e di proprietà, vengono meno se non è affermata e garantita la libertà religiosa della persona. E la libertà religiosa propria presuppone quella degli altri.
Il silenzio rivela come un'inibizione. Sembra quasi che la giusta laicità degli stati moderni ponga un freno mentale (se non proprio culturale) a difendere la vita e i diritti umani, se la violenza è mossa da ragioni religiose. Sembra che si tema di perdere la propria laicità a difendere un diritto fondamentale se ha a che fare con la religione.
Ecco perché questi attacchi e queste stragi non vanno lasciati passare sotto silenzio, o minimizzandone la portata. E soprattutto va contrapposta una profonda consapevolezza culturale, che non sono le differenze religiose che motivano lo scontro, perché nessun Dio, nessuna religione, nemmeno quella islamica, chiede la morte dell'altro diverso da noi, o legittima la violenza.
p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige