Se la Scozia se ne va
"Abbiamo sette mesi per salvare il Regno Unito" drammatizza David Cameron lanciando così la sua campagna, in extremis, per tenere insieme i territori che compongono l'Unione, in vista dello storico referendum sull'indipendenza della Scozia che si terrà il prossimo 18 settembre. E che nei sondaggi vede in testa i separatisti con il 39 per cento contro il 24. Sarà la fine dell'United Kingdom?
In tutta Europa ci sono tensioni centrifughe, di regioni o nazioni che vogliono "affrancarsi" da realtà nate dalla Seconda Guerra Mondiale (o prima). Dalla Catalogna che preme per lasciare la Spagna al conflitto a bassa intensità fra fiamminghi e valloni in Balgio. C'è però un nuovo caso che preoccupa molto l'ex Impero britannico: il separatismo scozzese. "Abbiamo sette mesi per salvare il Regno Unito" drammatizza David Cameron lanciando così la sua campagna, in extremis, per tenere insieme i territori che compongono l'Unione, in vista dello storico referendum sull'indipendenza della Scozia che si terrà il prossimo 18 settembre. E lo fa da Londra, scelta criticata, ma spiegata dal premier britannico con il fatto che questo suo accorato appello è sì rivolto agli scozzesi, a dissuaderli dal votare sì, ma oggi è rivolto soprattutto agli altri: gli inglesi, i gallesi, i nordirlandesi, affinchè si mobilitino per convincere amici e parenti in Scozia a non rinunciare all'Unione.
Sono tutti coloro che "non voteranno, ma tengono con passione al futuro dell'Unione". È una decisione, sottolinea infatti Cameron, che verrà presa da quattro milioni di persone, ma i cui effetti riguarderanno tutti i 63 milioni di britannici. Per questo, ripete più volte in un discorso appassionato, "dal Galles, dall'Irlanda del nord, dall'Inghilterra, diffondete il messaggio. Via e-mail, via Twitter. Parlate ai vostri vicini, ai vostri familiari. Ognuno nel Paese chieda agli scozzesi di restare".
Team Gb, la chiama, la squadra britannica, parlando dal villaggio olimpico di Stratford nella periferia della capitale, per evocare lo spirito dei Giochi, la volontà e la necessità di restare insieme, di partecipare e di vincere insieme. Lo fa attingendo ai ricordi del momento glorioso che sono state le Olimpiadi di Londra del 2012: "L'estate in cui il patriottismo è uscito dall'ombra", dice. E se da una parte certo non sorprende che un primo ministro invochi l'unità del Paese, dall'altra Cameron va oltre e insiste: "È una cosa personale. Ci tengo troppo per starne fuori. Amo questo Paese e lotterò per tenerlo insieme". Un messaggio che con i mesi si è rinvigorito, fino ad arricchirsi dei toni emotivi dell'appello di oggi, in quella che sembra un'azione coordinata per scongiurare il rischio di perdere la Scozia. E questo mentre dai sondaggi emerge un'accelerazione nella crescita del fronte del 'si" all'indipendenza, che oggi il Sun dà al 34%, rispetto al 29% di sei mesi fa. Così nel corso delle settimane si sono espressi contro il si": la grande industria, l'economia, anche il numero uno di Bp - che per Edimburgo non è cosa da poco, considerata l'intenzione di puntare sulle risorse petrolifere - ha sottolineato il clima d'incertezza che scaturisce dall'opzione indipendenza. Fino al governatore della banca d'Inghilterra, Mark Carney, che, pur attenendosi con rigore all'imparzialità richiesta dal suo ruolo, non si è tirato indietro dall'illustrare possibilità e rischi per il futuro monetario in vista della scelta scozzese. Per farlo però Carney è andato in Scozia. Cameron no. Un atteggiamento bollato come paternalistico da alcuni e che, secondo osservatori, potrebbe ulteriormente indispettire gli indipendentisti, guidati dal "first minister" scozzese Alex Salmond, che oggi rinnova la sua sfida: Cameron venga a parlarne faccia a faccia, in un confronto televisivo. Il premier fino ad ora lo ha escluso. (ANSA).