Le ruspe sulla strada de la piociosa
Le ruspe sulla strada de la piociosa
Caro de Battaglia,
vorrei non approfittare della rubrica «Sentieri», perché vorrebbe dire che le cose camminano finalmente per il verso giusto. Ma non è così. Quando accadono certe cose, come non comunicarle in maniera che anche altri possano essere partecipi di quello che succede? E chi si è occupato a lungo di vecchi percorsi come il San Vili, che sono la nostra storia, la nostra identità (penso anche a Gian Paolo Margonari) dovrebbe saperlo.
Bene, l'altro giorno stavo facendo una passeggiata nei «miei boschi» quando a un certo punto ho visto degli escavatori lungo un pendio e ho subito pensato a una nuova strada che permetta il taglio del legname. Niente di male no? Il bosco va curato, non si può più andare a tagliare la legna ancora con l'accetta ? In effetti si stava costruendo una strada, ma nello stesso tempo si stava compiendo l'ennesima vergogna. Un percorso millenario, con un ciottolato bellissimo che trasuda ancora delle fatiche di chi lo ha costruito e usato per tempi immemori. Via! Cancellato! Più niente! E allora alzo il mio grido e il mio sdegno!
Si tratta di una vecchia «brozara», che partendo appena sopra l'abitato di Vezzano porta sulle pendici del Bondone. Il suo nome? «La strada de la piociosa». Non conosco il significato del toponimo, ma so che non potrò più godere di quella incantevole strada con i solchi dei «bròzi» che fin dalla mia infanzia, quando l'autunno si andava a raccogliere le «finferle», percorrevo.
Mi dica, de Battaglia, che differenza c'è tra gli Jihadisti che spaccano le statue Assiro-Babilonesi e noi che stiamo cancellando il nostro passato? I sentieri acciottolati? Quanto si è distrutto negli ultimi decenni in nome della «modernità». Indro Montanelli diceva: «Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente».
Che dire ancora? Qualche Servizio provinciale o comunale avrà sicuramente dato l'assenso a questi lavori, e allora chiedo: sono io che vedo le cose distorte, o non conta più nulla impegnarsi e lavorare per il proprio paese, per il Trentino?
Flavio Franceschini - Vigolo Baselga
Caro Franceschini,
due cose a caldo. La prima è che questo imbarbarimento pervicace è tollerato, se non voluto, dalla politica che garantisce ormai impunità sul territorio. È questo l'aspetto più brutto, perché tutti ormai, dai Comuni, alla Forestale, ai padroncini delle ruspe conoscono il valore dei vecchi percorsi, degli acciottolati, dei muretti di pietra, degli antichi steccati e il richiamo che esercitano.
Queste lacerazioni, come ben sanno i vicini sudtirolesi, offendono non solo chi ama il paesaggio (cittadini consapevoli prima che ambientalisti) ma feriscono tutta la comunità, e disprezzano il lavoro delle generazioni che uno spirito alle fatiche della montagna hanno dato. Così è vero, i «Talebani» non occorre importarli (o aspettarli) li abbiamo già in casa, e distruggono senza motivo, o meglio per gli stessi motivi per cui distruggono le opere d'arte gli Jihadisti: perché una società di cui si cancella il passato, un territorio senza memoria e senza bellezza, lo si può dominare meglio. E una generazione di giovani cresciuta a Suv e computer, lontana dai sentieri della natura, la si può smemorare meglio con qualche giochetto, tenerla disoccupata e piegata agli interessi dei soldi.
La seconda questione è che «sbreghi» come questo mostrano quanto nel Trentino i meccanismi di tutela e di attenzione verso il territorio siano «saltati». Già lo si sapeva, basta guardare come è stata ridotta la valle dell'Adige, un'immensa accozzaglia di orrendi capannoni (vuoti ) che sono il peggior biglietto da visita per i 50 mila veicoli che ogni giorno salgono e scendono verso il Brennero.
Ma ormai la metastasi non riguarda solo i grandi collegamenti, è penetrata nei boschi. Dopo la rigorosa azione di Claudio Betta e l'intelligente mediazione di Walter Micheli è mancata nel Trentino una politica delle strade forestali, diventate scambio di piccoli (?) interessi comunali (vedi Val dei Mocheni) pretesto per accontentare gruppi di valle desiderosi di testare fuoristrada comprati a caro prezzo.
Le comunità di valle giocano a ping pong con i Comuni sulle responsabilità e le competenze, i distretti forestali autorizzano (forse) prescrivono, ma non seguono, tanto che molti Forestali non nascondono le loro preoccupazioni. Sta smarrendosi un'antica tradizione, anche di autonomia dalla politica. Non bastano poliziotti nei boschi, invece che attenti custodi di una cultura, promotori di un equilibrio di un rispetto forte nei confronti della natura.
Non potrà esservi ritorno ad un vero sviluppo per una comunità che vede il proprio territorio non come un bene da coltivare, ma come un'occasione da depredare.