Profughi e muri: perché l'Austria sbaglia

Profughi e muri: perché l'Austria sbaglia

di Vincenzo Passerini

 

È proprio una tragica beffa del destino che nel pieno dell'anniversario della Grande Guerra, che inventò contro l'Austria il confine del Brennero, sia proprio l'Austria a ripristinare quel confine dopo che era stato di fatto cancellato. Ma più che il destino dovremmo chiamare in causa la cecità e lo smarrimento che colpiscono gli uomini quando si lasciano vincere dalle paure. La decisione unilaterale dell'Austria di mandare i soldati al Brennero e di ripristinare i controlli è figlia delle paure. Ma la resa alle paure da parte dei governanti non ha mai portato buoni risultati, e la storia europea lo dimostra.
L'Austria sta commettendo un gravissimo errore. Per almeno tre motivi. Il primo è che l'Austria, socialdemocratica e cristiano-popolare, si mette al seguito dei costruttori di muri culturali e militari dell'Europa dell'Est, come Polonia e Ungheria.

Con quei muri risorgono i fantasmi del razzismo, del nazionalismo, della xenofobia. Fantasmi che l'Austria ben conosce perché da loro si fece vincere, come la Germania e come l'Italia, che poi trascinarono il mondo nella immane rovina del secondo conflitto mondiale. Fantasmi che l'Europa unita voleva cancellare una volta per sempre, ma che continuamente risorgono e con i quali continuamente deve fare i conti. Si è detto che l'Austria sta facendo sul serio. No, l'Austria sta scherzando col fuoco. Quando si comincia a cedere così alle paure su questioni di principio di importanza vitale, non si sa dove si andrà a finire. È la Polonia, è l'Ungheria, sono gli altri paesi dell'Est che devono essere costretti dall'Unione Europea a cambiare le loro politiche razziste e nazionaliste che sono in contrasto con l'essenza stessa dell'Unione. Sono loro che devono cambiare, non sono gli altri paesi che devono seguirli su questa china sciagurata. Sono la Polonia e l'Ungheria che ricevono enormi aiuti economici dall'Unione europea, di gran lunga superiori a quanto da essi dato, che devono accettare anche i doveri che il far parte dell'Unione comporta. Che devono accettare i valori che fondano l'Unione. La decisione dell'Austria suona come una rinuncia a credere in se stessa e a seguire la strada, infelice, dei nazionalisti e dei razzisti dell'Est.

In secondo luogo l'Austria sta creando un pericoloso precedente. Un domani, per qualsiasi motivo, in presenza di qualche strano avvenimento o di qualche strano governo, da ambedue i quali l'Italia non è mai immune, potrebbe essere il nostro paese a decidere di mandare unilateralmente i soldati al Brennero, di ripopolare caserme, di ripristinare controlli e barriere, di decidere quali cittadini controllare e quali no, quali e quanti farne passare. Stupisce che la cecità austriaca sia giunta a questo punto. Dopo un secolo di sofferenze, di tragedie (si pensi all'oppressione fascista, alla vicenda delle opzioni e agli anni delle bombe), di scontri politici, di attentati, di faticose composizioni politiche, di lungimiranti soluzioni, ecco che invece di seguire la strada politica in Europa, fatta di pazienza e di complessità, magari insieme all'Italia, insieme alla Germania, per affrontare la questione dei migranti, l'Austria sceglie la strada militare. Perché di questo si tratta: i soldati al Brennero. Questo non è fare sul serio, questo è ancora una volta scherzare col fuoco.

C'è una terza ragione che rende ingiustificabile e oltremodo grave la decisione dell'Austria. Bisogna sgombrare il campo da un equivoco: l'Austria non è costretta a prendere tutti i profughi che entrano nel suo territorio. Nessun paese lo è. I profughi fanno domanda di asilo e questa domanda può essere accettata o respinta dal paese dove questa domanda viene presentata. Respingere al confine i profughi che fuggono da situazioni di guerra, di persecuzione o di povertà prima di aver esaminato il loro caso va contro il diritto internazionale, oltre che essere una scelta disumana. Se è vero che arrivano tanti profughi, è anche vero che tante domande di asilo vengono respinte e tanti di loro rimandati a casa. C'è molto da ridire su queste decisioni, che spesso pure sono disumane. In ogni caso questo accade, e l'Austria non può far finta di non saperlo.

Nel numero del 6 febbraio dell' "Economist", l'autorevole settimanale in lingua inglese, in un dossier su "Come affrontare la crisi dei migranti" si riportano i dati sulle domande di asilo in Europa e su quante se ne stanno accogliendo. In dodici mesi, dall'ottobre 2014 al settembre 2015, sono state presentate in Europa 922. 055 domande di asilo, così suddivise per paesi di provenienza: Siria 318.650, Afghanistan 145.970, Iraq 103.620, Kosovo 93.260, Albania 64.635, Eritrea 46.965, Pakistan 44.930, Serbia 35.450, Bangladesh 18.300, Gambia 13.985. Quindi 18.335 apolidi e 17.955 di nazionalità non nota.
Ebbene, ne sono state esaminate poco più di duecentomila e, come prima istanza, ne sono state accolte 137.785 e ne sono state respinte 96.475. Vengono in gran parte accolte le domande dei siriani (il 95,7%), degli iracheni (89,3 %), degli eritrei (86,3%), degli afgani (72,2 %). Vengono quasi tutte respinte quelle degli albanesi, dei kosovari, dei serbi di cui si accolgono domane di asilo in percentuali insignificanti, oscillanti tra il 3,7 e l'1,2%. Se si pensa alla povertà del Kosovo, il paese più povero d'Europa, non si può che rimanere sconcertati di fronte a tanti respingimenti.
Ma questo accade, e questo conferma che i paesi europei non sono costretti a costruire muri per respingere tanti profughi. L'Austria non può quindi giustificare la sua scelta unilaterale con la necessità di non poterli accogliere tutti.

Tornerà l'Austria sui suoi passi o proseguirà sulla sciagurata strada imboccata da polacchi e ungheresi? Continuerà a scherzare col fuoco?

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