Lo show della politica raccontato a un ragazzino
Sia a livello personale sia a livello professionale, negli ultimi anni, ho sempre cercato di evitare di occuparmi di politica. I furori ideologici giovanili sono passati, ma in tutto questo credo di sia una spiegazione, che negli ultimi due mesi è diventata molto più chiara.
Da una parte ci sono le frasi, che arrivano sistematicamente ad ogni conferenza stampa e intervista: “Puntiamo sui giovani”, “I giovani sono il futuro”, “Dobbiamo riportare le persone alle urne”, “Ci vuole la politica con la p maiuscola”. Da Destra, sinistra, centro e sfumature varie, frasi così si sentono quotidianamente. Poi, però, i giovani restano nel cassetto e gli elettori restano a casa. Inutile raccontarsi storielle: i ragazzi se ne fregano e l’astensionismo è il vincitore delle passate e prossime elezioni, se mai ci saranno. Nonostante gli appelli la politica, che sia con la p maiuscola o minuscola, è sempre più isolata, autoreferenziale, distante, autolesionista.
Restiamo in Trentino e andiamo indietro solo di qualche settimana. I tre partiti di maggioranza, Patt, Upt e Pd hanno eletto o stanno eleggendo il proprio segretario. Un po’ come eleggere il capoclasse o il rappresentante di istituto, oppure come decidere a chi dare la fascia di capitano in una squadra: una carica importante, di chi va a relazionarsi sia con l’interno sia con l’esterno, di chi dà la linea. Da spettatore laico, anche se professionalmente coinvolto di tanto in tanto, ho assistito allo show. Ed è stato tutto tranne che bello, appassionante, coinvolgente. E’ stato lo specchio e la spiegazione di tante cose.
Se un diciottenne (ovvero il futuro, ovvero quello da portare alle urne, ovvero quello da far appassionare) mi chiedesse di spiegargli in qualche minuto quanto successo, sarei in enorme difficoltà. Però ci proverei più o meno così.
Upt. Allora: si candidano Lorenzo e Tiziano. Il primo è capitano della squadra da tanto tempo, il secondo, che del primo era allievo, vorrebbe sostituirlo. Giusto e legittimo, ci mancherebbe. Però il secondo, visto il regolamento interno della squadra, non può prendere la fascia. Una regola scritta da anni, giusta o sbagliata che sia, ma una regola che fa parte del decalogo che ogni società dà alle proprie squadre. Vabbè, a quella ci si penserà in seguito. Nel frattempo si vota. Lorenzo e Tiziano cercano sostegno, parlano singolarmente ai giocatori della squadra (anche a quelli della juniores e dei giovanissimi e dei pulcini), addirittura chiedono a giocatori di altre squadre, convocano in spogliatoio i compagni e spiegano le ragioni. Alla fine vince Tiziano. Ma c’è quella regola. E allora il nuovo capitano la fa cancellare dal foglio appeso all’ingresso della sede societaria e indossa la fascia. Lorenzo cambia squadra, anzi forse ne fonderà una nuova, cercando di prendere alcuni giocatori della sua ex squadra.
Patt. Allora: nella classe si propongono in quattro, Franco, Mauro, Giuseppe e Dario. Ognuno trova in classe un compagno che lo aiuti nella campagna. Quello di Mauro, ad esempio, è Carlo. I quattro discutono, fanno assemblee singolarmente e insieme alla classe, chiedono agli altri di ritirarsi. Il rappresentante d’Istituto, Ugo, amico di Franco, Mauro, Giuseppe e Dario, dice che in quella classe lui preferirebbe Franco. Gli altri si arrabbiano un po’, ma si va avanti. Franco allora va da Carlo, l’amico di Mauro, e gli chiede di diventare suo amico e di lasciare perdere l’altro. Dario, nel frattempo, cambia classe, ma resta amico di tutti. Giuseppe è piuttosto arrabbiato, ma ingoia il rospo e non cambia classe: anzi, a ricreazione raduna un po’ di studenti e critica gli altri. Alla fine Franco viene votato rappresentate e premia Carlo, dandogli un ruolo importante. Però Carlo si fa beccare con quelli del Blocco Studentesco, che mai erano entrati in quella classe in precedenza, probabilmente per colpa di qualche altro studente di quella stessa classe che aveva fatto la spia con la preside. Così Carlo ringrazia Franco e se ne va. E Mauro lo prende in giro, anche se non in classe. Dalla classe se va anche Manuela, che aveva iniziato l’anno in III A, poi era andata in III B, poi si era arrabbiata con quelli della B ed era passata in C.
Pd. Allora: qui, per ora, c’è solo Elisabetta. Ma forse c’è anche Italo, che però all’assemblea di istituto ha fatto finta di niente e non ha detto nulla di sicuro. Tutti sanno, nella scuola, cosa pensa Italo, ma nessuno lo dice alle altre scuole. Elisabetta è una primina, però è super attiva e va in tutte le classi a parlare. Italo è di quinta e tutti i rappresentanti di classe delle quinte, delle quarte, delle terze e delle seconde tifano per lui. Addirittura i rappresentanti di classe delle quinte di una scuola di Roma, che probabilmente Elisabetta e Italo non sanno manco chi siano, dicono che Italo è il migliore. Qualcuno di quinta, a ricreazione, va da Elisabetta e le dice “Senti, lascia perdere. Al massimo fai la rappresentante di classe, quella di istituto è impossibile”. Lei, per ora, se ne frega. L’assemblea di istituto non si è ancora svolta, ma visto come andò l’ultima (c’erano Giulia, Vanni ed Elisa: vince Elisa, ma poi Vanni e Giulia diventano amici e allora vince Giulia, ma poi lei se ne va e arriva Sergio) forse ci sarà da divertirsi.
So perfettamente di non essere stato chiaro. So perfettamente di aver saltato una serie di passaggi e di aver banalizzato, volutamente, il tutto. E so perfettamente che tra i nominati e non ci sono tante persone preparate, intelligenti e interessanti, che forse hanno solo qualche problema a fare gruppo e squadra. Però questo è quello che è stato. Questo è quello che è in questo momento la politica, quella con la p minuscola, alla quale, giustamente, si devono dedicare fiumi di inchiostro. Poi Tiziano, Lorenzo, Franco, Mauro, Giuseppe, Dario, Elisabetta, Italo e altri si chiedono perché nessuno vada alle loro feste. Si chiedono perché quando qualcuno porta le paste in spogliatoio loro siano fuori a salutare il pubblico, che però se n’è già andato. Si chiedono perché alla gita nessuno li faccia sedere in fondo al pullman o gli faccia prendere il microfono. Chissà se qualcuno di loro leggerà mai queste noiose righe e cosa penserà. Basta solo che non pensi: “È vero, ma adesso cambiamo: i giovani, la p maiuscola, la partecipazione”. Perché dopo un po’ non ci si crede più…
Ma se, alla fine del tentativo di spiegazione, il diciottenne chiedesse: "Ma quindi, perché dovrei andare a votare?", la risposta non sarebbe certo facile.
P.s. Finito di scrivere mi è venuta in mente questa. Non so perché.