Non c'è la politica solo con le urla

Non c'è politica solo con le urla

di Pierangelo Giovanetti

La scelta di Silvio Berlusconi di affidare a Stefano Parisi (in foto), ex city manager di Milano, la ricostituzione del centrodestra è una bella notizia, per il Paese e per la politica italiana. Con l'uscita di scena del Cavaliere, il centrodestra è imploso disintegrandosi in tante schegge di nani e ballerine, insignificanti sul piano politico, ma sempre più urlanti e farneticanti su quello mediatico. Dallo smembramento del Partito della Libertà, ha preso il sopravvento la linea populista e lepeniana di Matteo Salvini, estremista anche nella Lega rispetto ai Maroni e agli Zaia. Una linea politica antieuropea, dai tratti xenofobi e volgari, più vicina ai Farage e ai Donald Trump, che ai popolari e ai liberali. Un qualcosa che punta al bacino elettorale dell'antipolitica e della protesta viscerale, già occupato in Italia da Grillo, inservibile a costruire qualsiasi seria e praticabile alternativa al Partito democratico di Matteo Renzi.

Pur scontando il vizio originale dell'investitura del Cavaliere (che vuol dire che ne dovrà dipendere, e soprattutto ne dovrà difendere gli interessi aziendali e giudiziari), l'idea di Parisi di «rottamare» la vecchia Forza Italia e costruire un moderno centrodestra moderato e liberale, riporta al centro del discorso pubblico e del linguaggio verso gli elettori «il progetto politico» e non solo urla sguaiate e odio antirenziano. È il segnale, probabilmente, che la gente - gli elettori del centrodestra in primis - cominciano a stufarsi dell'antipolitica, dello sfascismo qualunquista, dell'uso dei decibel e della volgarità più triviale per coprire il vuoto delle idee e delle proposte per il Paese, chiedendo di «costruire» e non soltanto abbattare o distruggere, come oggi va per la maggiore nella politica italiana.

Vedremo se il progetto andrà avanti, e come si svilupperà. Già ora è un chiaro messaggio: con le sparate populiste e anti-sistema non si governa. Anzi, lo sgomento è tanto e tale nell'elettorato, che è causa non ultima dell'allontanamento dalle urne di masse crescenti di cittadini disgustati dalla politica e dai politici. Non ci si rende conto abbastanza, ma è in atto in Italia un pericolosissimo distacco fra le classi dirigenti e fasce sempre più ampie di «popolo», che non può essere colmato continuando col fango sul ventilatore affinché gli schizzi di liquame finiscano sull'avversario, o alzando di giorno in giorno le sparate per vellicare le paure e le inquietudini delle masse. Per riavvicinarele elite al popolo, per riportare gli elettori alle urne, servono progetti politici, classe dirigente affidabile e preparata capace di «costruire» e di dare concretezza all'agire politico, non slogan o ideologia. Serve in sostanza «fare politica», finendola con le autoreferenziali chiacchiere sul niente, surreali cacce ai pokemon, come le ha definite il Presidente della Repubblica Mattarella.

Questo servirebbe anche al dibattito sul referendum costituzionale di ottobre, decisivo per il futuro dell'Italia anche di fronte agli occhi dell'Europa dimostrando la capacità o meno di fare le riforme, dibattito finora impelagato in fantasiose disquisizioni sullo stile linguistico della riforma o su rancorose voglie di rivincita nei confronti di Renzi, invece che sui contenuti della riforma stessa, che per la prima volta nella storia italiana riduce il numero dei parlamentari e i costi della politica, ed è in grado di garantire governabilità al Paese.

Il nuovo corso che emerge nel centrodestra a livello nazionale è un indicatore interessante anche per la politica provinciale, impantanata nel cupio dissolvi dell'autodistruzione. Se la maggioranza al governo ha perso il senso del suo esistere, e continua ad autopicconarsi per affondare in un suicidio spaventevole di fronte ai problemi e alle sfide che investono l'Autonomia trentina, non da meno è l'opposizione (anzi le opposizioni, perché sono almeno sei o sette diverse, e ciascuna va per conto proprio). 

Se il centrosinistra autonomista è in crisi a livello provinciale come a livello comunale, a cominciare dal comune capoluogo, non c'è un'alternativa praticabile e possibile offerta dalle opposizioni. In assenza di un significativo movimento Cinquestelle in regione, sono Forza Italia, la Lega, la Civica a sventolare le bandiere dell'antipolitica, delle sparate un tanto al chilo, dell'irrazionalità di fronte ai problemi che si pongono, a cominciare dall'epocale spostamento di popoli in atto nel mondo, e che ovviamente coinvolge anche il Trentino.

Ormai è una gara a chi la spara più grossa, in una proliferazione infinita di interrogazioni e mozioni su tutto, specie su ciò che non è importante, con l'unico fine di ingolfare gli uffici provinciali per compilare infiniti (e spesso inutili) testi di risposta. Quello che manca, anche nelle opposizioni a livello provinciale, è un progetto politico alternativo a chi governa. Una piattaforma di idee e di soluzioni nell'affrontare il calo di risorse ingente che investe l'Autonomia, la riorganizzazione dei territori (dalla sanità alla scuola, ai comuni), il rilancio dell'intraprendenza privata nell'era del post assistenzialismo di Mamma Provincia, la riduzione delle spese della macchina amministrativa accrescendone invece produttività e risultati.

Questo è ciò che è assente oggi nella politica provinciale, e che potrebbe nel 2018 diventare un'alternativa seria al centrosinistra autonomista, immobilizzato nelle sue insulse e distruttive beghe interne, in una incomprensibile e degradante gara al ribasso fra i partiti della coalizione.

Vedremo se all'orizzonte si farà avanti qualcosa di più concreto e definito in questo progetto delle Civiche, animate dai sindaci, a cominciare da quello di Rovereto, Francesco Valduga. Anche qui i valori della concretezza e del collegamento col territorio, pur importanti e imprescindibili (e non sempre coltivati a sufficienza nel centrosinistra, a partire dal Pd), da soli non bastano se non coniugati con un progetto politico che sappia rispondere in maniera adeguata, motivata e convincente alle sfide del Trentino di oggi. Sapendo poi che anche le belle idee hanno bisogno di personale politico e di classe dirigente per camminare, altrimenti restano sulla carta. O si devono affidare a spezzoni di classe dirigente riciclata, come si è visto all'opera nella giunta e nel sottogoverno Raggi dei Cinquestelle a Roma.

Ben venga, quindi, il tentativo di Parisi nel centrodestra a livello nazionale. Può essere un viatico su cui riflettere anche per Forza Italia a livello trentino, ormai inesistente o distrutta dai suoi vertici, con un consigliere provinciale, Giacomo Bezzi, riciclato da infinite avventure politiche di tutti i tipi e di tutti i colori, e che ora dopo aver cambiato casacche e gabbane come pochi altri, si sta riverniciando da vessillo antisistema e anti-tutto, scimiottando gli estremisti più iconoclasti. Probabilmente alla ricerca di un nuovo elettorato, visto che quello di Forza Italia probabilmente gli ha voltato le spalle.

Con Parisi in campo, se il progetto andrà avanti e non sarà abortito dai colonnelli berlusconiani timorosi della rottamazione, anche la Lega dovrà interrogarsi nel profondo se la linea nazionalista, razzista e lepeniana di Salvini abbia qualche sbocco se non lo sfascio senza sapere bene dove questo porta. Al riguardo da tempo sta lavorando Roberto Maroni, e anche questo è un segnale che la Lega del Trentino dovrebbe saper cogliere, se vuole avere un qualche ruolo in un'eventuale alternativa al centrosinistra.

Alle elezioni provinciali mancano due anni. C'è tempo per riempire il vuoto pneumatico attuale di politica vera, cioè di idee e progetti concreti per il Trentino di oggi e di domani. È su questo che si misurerà la scelta degli elettori, non sulle smargiassate quotidiane di cui sono infarciti molti degli estenuanti dibattiti del consiglio provinciale e regionale.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter @direttoreladige

comments powered by Disqus