Aquiloni e sorrisi
Aquiloni e sorrisi
Aquiloni, si chiamano «kap» qui ad Haiti, in creolo. Il vento dei mesi di marzo e aprile è perfetto per farli volare in cielo.
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A Kay Chal, con decine di bambini e adolescenti, abbiamo preparato, come si usa fare ogni anno, questi aquiloni artigianali. Quasi tutti i giovani ragazzi qui sono in grado di costruirli.
Per una settimana i preparativi sono stati incessanti: c’è chi si è arrampicato su un’alta palma per tagliarne i grandi rami, col machete, facendo pure cadere qualche cocco da mangiare e bere in compagnia; c’è chi, nel cortile del centro, assieme a me e altri animatori, si è seduto a pulire una a una le «foglie», con taglierini, forbici e pezzi di vetro, ricavandone fini bastoncini, che sono stati essicati e preparati all’uso; c’è chi si è occupato di andare ad acquistare lo spago più adatto per legare tra loro le varie parti del «kap».
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Così, il gran giorno è presto arrivato: venerdì pomeriggio, animatori e ragazzini si sono riuniti a Kay Chal alle 3, come al solito e, come una catena di montaggio, hanno iniziato la costruzione dei magnifici aquiloni, rivestiti di carta velina, per lo più dei colori della bandiera , blu e rossa, perché, come per la maggior parte degli haitiani che ho conosciuto, il senso di unità nazionale, nonostante tutte le difficoltà del caso, è molto sentito.
C’è una sorta di grande orgoglio nel riconoscersi haitiani, spesso differenziandosi apertamente dagli stranieri; i nomi degli eroi della storia della ribellione e dell’indipendenza del Paese sono sulla bocca di tutti, da Louverture a Desaline, che hanno condotto il loro popolo contro i colonizzatori e deportatori. Un senso di appartenenza e unione che a volte mi sembra cozzare con la forte divisione sociale: fino a pochi mesi fa non c’era un presidente eletto dal popolo, in quanto per circa 2 anni le elezioni hanno avuto sempre esiti negativi; i ruoli di ognuno qui sono ben marcati e ben riconosciuti dalla gente, come in particolare il livello raggiunto all’interno della società: in questo quadro, il capo, che sia il maestro a scuola, che sia il capocantiere o il piccolo imprenditore di un’attività commerciale, è riconosciuto con grande rispetto e, ho compreso, è una figura ricercata, nel senso che è importante identificarla, anche nelle cose più quotidiane.
E intanto, gli aquiloni sono quasi pronti.
Anche io ho costruito il mio, anche se, confesso, mi sono fatto «aiutare» molto, o meglio, va bene, me lo sono fatto fare. E’ pazzesca l’abilità e manualità dei ragazzi nel creare «kap» differenti, dalla forma pentagonale, o esagonale, legando con piccoli nodi i bastoncini, costruendo le «code» con pezzi di tela, per farli volare meglio.
Così tutti assieme, verso le 18, quando il vento è aumentato, siamo saliti su qualche tetto o nel piccolo campo da calcio in terra e sassi, e gli abbiamo fatti volare.
Inutile dire che il mio non ha fatto molta strada, mentre quelli dei più capaci sono volati alti nel cielo. Sopra i tetti di Delma 31, il quartiere. Sopra i tetti di Port au Prince.
Sopra la fame, «grangou», in creolo, una parola che sto sentendo tropo spesso da bambini e miei coetanei e che non mi da pace. Che mi fa rabbia e che mi sta segnando nel profondo.
Ma il pomeriggio degli aquiloni c’erano solo aquiloni. E sorrisi.
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