Veneto, più poteri ma il voto è inutile
Veneto, più poteri ma il voto è inutile
Il referendum che si svolgerà oggi in Lombardia e in Veneto non servirà a nulla ai fini dell'autonomia delle due regioni. Sia che vinca il Sì sia che vinca il No, entrambe potranno attivarsi con lo Stato (ma potevano farlo già da sedici anni, e non l'hanno mai fatto) per avere più competenze, in base agli articoli 116 e 117 della Costituzione, riformati nel 2001. Al massimo, la vittoria del Sì al referendum (scontata in Lombardia dove non c'è quorum da superare, più difficile in Veneto dove sarà determinante la partecipazione) può rafforzare dal punto di vista politico la richiesta dei governatori leghisti Maroni e Zaia, ma ai fini pratici niente di più.
La dimostrazione viene dall'Emilia Romagna che ha già attivato con il governo la procedura per ottenere maggiori poteri, e Roma si è dichiarata favorevole. Il tutto senza spendere un euro per i referendum (quelli lombardo-veneti costeranno oltre 60 milioni di euro), e senza suonare la grancassa propagandistica, ma semplicemente applicando la Costituzione in vigore. Detto questo, fatta la tara a tutte le fole propinate ai lombardi e ai veneti in questi giorni («Avrete anche voi i nove decimi delle tasse», «se vince il Sì avremo l'autonomia speciale»), vien da dire finalmente si sono mossi anche a Milano e a Venezia per proporsi di gestire qualche competenza in più a livello regionale. Questo è il punto: non che il vicino Trentino ha l'Autonomia speciale e ha imparato a gestirla (ci sono voluti decenni per attrezzarsi e creare dirigenza pubblica in grado di farlo), ma organizzarsi per farlo, se si è capaci, anche in altre regioni. È il cosiddetto federalismo differenziato. Le competenze e i relativi fondi per gestirle non vengono assegnate a tutti, ma a chi è in grado di portarle avanti.
Se una regione ha i conti a posto, se si ritiene in grado di amministrare in proprio uno dei settori tra quelli indicati dalla Costituzione - anche la scuola o la protezione civile, o la tutela dell'ambiente e dei beni culturali - può farne richiesta. Lo Stato verifica che vi siano le condizioni oggettive per assegnare tale specifica prerogativa, e se è fattibile trasferisce oltre ai poteri le relative risorse per attuarli. Tale meccanismo, valido per tutte le regioni, è lo stesso che di fatto funziona per il Trentino Alto Adige. Le risorse a disposizione anche per la nostra regione non sono oramai a prescindere, vuoto per pieno: i cosiddetti nove decimi. Dal 2011 in avanti, prima con l'Accordo di Milano e poi con il Patto di Garanzia, la quota si è ridotta a sette decimi e mezzo, calcolati sulla base dei costi delle competenze che si hanno da gestire.
Se un tempo poteva essere vero che il Trentino riceveva più fondi di quanti ne versava allo Stato, oggi non è più così. Le risorse sono parametrate alle competenze esercitate, e al fatto che il Trentino Alto Adige è territorio di confine, area di montagna e a presenza plurietnica, con tutto ciò che in termini di maggiori spese questo comporta. Ora, ben venga che la Lombardia o il Veneto comincino a gestirsi un po' di competenze, anche per vedere sul campo quanto è impegnativo farlo. Per trasferire il funzionamento della scuola dallo Stato alla Provincia di Trento, ci sono voluti decenni, e ancora la macchina non è pienamente a regime. Stessa cosa per mettere in piedi la Protezione civile o il mantenimento delle strade, o un'università di livello internazionale, che sia competitiva con i migliori atenei d'Europa di pari grandezza.
Comunque vada il voto di oggi, non ci saranno quindi - ovviamente - i «nove decimi» assegnati alla Lombardia e al Veneto, perché non esistono nemmeno più per il Trentino Alto Adige. Milano e Venezia indicheranno quali sono le competenze che intendono portare avanti, e si calcolerà le rispettive risorse che andranno corrisposte. Nemmeno - ovviamente, anche se vince il Sì - potranno avere poteri di polizia o in fatto di immigrati, perché questi in base alla Costituzione spettano allo Stato, checchè sia stato strombazzato alle orecchie degli elettori veneti e lombardi. Come nemmeno - e anche qui, va sottolineato, ovviamente - incasseranno cash seduta stante il cosiddetto «residuo fiscale», ossia la differenza fra quanto versato in tasse e quanto ricevuto in servizi.
Questo per un motivo molto semplice. Per calcolare il «residuo fiscale» vanno tenuti presente tutti i servizi e le funzioni amministrate dallo Stato: la difesa, la giustizia, l'ordine pubblico, le istituzioni, la quota europea, eccetera, che hanno un costo, che grava anche sui lombardi e i veneti anche se non è esercitato in Lombardia e in Veneto. Difendere i confini, contrastare la mafia, far funzionare il parlamento o la cassazione o la banca d'Italia, sono spese nazionali che vengono ripartite su tutta la nazione, anche se non esercitate direttamente sul singolo territorio. Così pure la tenuta del Paese nel suo complesso, che si fonda sulla solidarietà nazionale e che preserva l'Italia dalla disintegrazione e da possibili (costosi) conflitti civili e scontri sociali, ha un costo che è sostenuto da tutti, ma ovviamente in maniera più consistente dalle regioni economicamente più floride, e cioè Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
A parte l'inutilità del referendum di oggi, e il pericolo che possa addirittura rallentare la procedura che a Bologna è già stata avviata, tutto l'ambaradan propagandistico messo in campo da Lega e Cinque Stelle (che peraltro in Emilia si sono opposti alla richiesta di maggiore autonomia per la regione) rischia di ingenerare tra i lombardi e i veneti aspettative non corrispondenti alla realtà, basate su presupposti falsi e su promesse infondate. Con il risultato che, quando si accorgeranno che anche con il Sì non ottengono l'indipendenza fiscale e politica, né riceveranno un euro in più rispetto al trasferimento di quanto già ora lo Stato spende per le materie che passeranno sotto il loro governo, la delusione sarà massima. E l'invidia rancorosa verso le regioni vicine che da settant'anni hanno messo in campo, passo dopo passo, la realizzazione dell'autonomia, finisca per esplodere invece che mitigarsi dall'aver iniziato un percorso federale.
Purtroppo, anche in una questione seria come la maggiore autonomia di Lombardia e Veneto, ha prevalso l'uso strumentale partitico-propagandistico, e la Lega ha pensato di farne uno spot pro domo sua, specie nel braccio di ferro che sta portando avanti nei confronti di Forza Italia per stabilire chi dei due è più forte. Andrà a finire che l'Emilia Romagna, senza referendum, sarà la prima regione a realizzare la procedura dell'articolo 116 della Costituzione, al di là dei trionfali proclami di Milano e Venezia.