Patto M5S-Lega, il governo è più vicino
Patto M5S-Lega, il governo è più vicino
Con il voto convinto dei CinqueStelle alla berlusconiana Maria Elisabetta Casellati, in Parlamento da 24 anni, madrina delle leggi «ad personam» a favore del Cavaliere, diventata così la nuova presidente del Senato, la corsa al potere dei grillini ha preso una decisa accelerata, seppellendo una volta per tutte la propaganda sulla presunta «diversità» del partito, il quale pur di andare al governo non ha esitato a fare accordi niente meno che con Silvio Berlusconi.
L’elezione di ieri dei presidenti delle Camere apre così le porte alle «larghe intese» 5Stelle-Lega, su una piattaforma politica sovranista e antieuropea, sancendo la fine dell’alleanza di centrodestra a guida Forza Italia, e delineando il nuovo bipolarismo di domani.
Non più destra-sinistra, con buona pace dei nostalgici della sinistra ideologica, cancellata dalla storia, ma fra sovranisti e federalisti europei, tra chi ritiene necessari l’uscita dall’euro e il ritorno ai confini nazionali, e chi invece vede il futuro dell’Italia indissolubilmente legato ad un’Europa federale, unita e democratica.
È questa la nuova linea di demarcazione della politica italiana, suggellata dal segno di vittoria del capogruppo al Senato dei 5Stelle Toninelli ieri alla notizia dell’elezione a presidente della fidata pasdaran di Berlusconi e dell’avvocato Ghedini.
Sacrificato sull’altare di questo accordo («inciucio» l’avrebbero chiamato i grillini in altri tempi, o «Grillusconi», l’avrebbe battezzato fino a ieri il Fatto Quotidiano di Travaglio), il trentino Riccardo Fraccaro, mollato dal partito dopo che Forza Italia ha preteso il suo affondamento.
Il cinismo del potere non lascia scampo alcuno, e la voglia di governo con la destra era troppo forte per contenerla in nome dei principi «puri e duri».
A tre settimane dal voto si delinea così chiaramente quanto tutti già sapevano prima delle elezioni, nonostante lo negassero pubblicamente: il centrodestra non era un’alleanza di governo ma solo un cartello elettorale, utile a fare il pieno di seggi all’uninominale al Nord, ma si sarebbe disciolto come neve al sole all’indomani della chiusura dei seggi.
Così è stato, e il voto di ieri - nonostante Berlusconi faccia buon viso a cattivo gioco, e lo rivendichi come un successo -, in realtà ha decretato la fine politica del Cavaliere, consegnando lo scettro del centrodestra a Matteo Salvini, che può così attuare la sua Opa su Forza Italia (peraltro la corsa al carro del vincitore era già partita da tempo tra i forzisti).
Berlusconi c’è ancora, ma è irrilevante, non conta più nulla, e il bacio fra Di Maio e Salvini, quello raffigurato sul murales di fianco a Montecitorio, ne è l’emblema più evidente. Se ne starà buono a cuccia, temendo in caso contrario ritorsioni per le sue imprese e i suoi interessi economici.
L’altro punto ormai smascherato, ipocritamente sostenuto fino all’ultimo dai 5Stelle, cioè la presunta indisponibilità di Di Maio e soci a fare contrattazioni, spartizioni, scambi di poltrone, «do ut des», si è dissolto come per magia di fronte alle nomine di ieri.
In cambio dei voti alla poltrona di Fico, Di Maio ha ordinato ai suoi di votare la berlusconiana Casellati, e porre così le basi ad un governo 5Stelle-Lega con quanti ci staranno anche tra le file di Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Ormai la strada è in discesa, i numeri ci sono, il «patto di sangue» pure.
Resta da capire chi sarà premier se lo stesso Di Maio o il Matteo leghista, poco disposto a fare il semplice portatore di acqua. E anche sui nomi dei ministri dell’esecutivo, con l’accordo in tasca, non dovrebbe essere difficile la spartizione fra 5Stelle e Lega.
Per Riccardo Fraccaro, stoppato ieri, si apre a breve il risarcimento non da poco di un ministero, probabilmente quello per gli Affari regionali.
Il governo Di Maio-Salvini ha trovato, quindi, un suo amalgama politico, non soltanto numerico e, se non vi saranno improbabili rivolgimenti della base grillina che ieri sui social ha storto il naso, è ormai solo una questione di tempo.
Alla faccia dei contorcimenti di budella delle «anime belle» come Paolo Floris D’Arcais e dei suoi inutili strilli su «Micromega», che per anni ha inneggiato al grillismo come l’espressione più pura della sinistra, e ora se lo ritrova alleato della Lega di Salvini e sponsor della berlusconiana Casellati, in una sorta di patto Ribbentrop-Molotov in salsa nostrana. I miracoli infiniti della smania di potere.
Superata la spartizione delle poltrone, non mancheranno comunque difficoltà al nuovo esecutivo Di Maio-Salvini. Bisognerà cimentarsi con la legge di bilancio, lo stop all’aumento dell’Iva, trovare una posizione comune di fronte ai vertici europei, affrontare l’emergenza migranti, misurarsi con le promesse insostenibili che hanno sbandierato per tutta la campagna elettorale, dal reddito di cittadinanza all’abolizione della Fornero, alla flat tax al 15%. Nessuna di queste è realizzabile se non facendo schizzare le tasse alle stelle, cosa che i leghisti certo non consentiranno.
Quindi il bello verrà quando alle parole dovranno seguire i fatti, e per un po’ il governo sarà costretto a governare, non solo a riscrivere le regole elettorali in chiave maggioritaria, magari con il ballottaggio, quello a cui si erano visceralmente opposti ai tempi dell’Italicum e che ora andrebbe a fagiolo, per stabilire un vincitore il giorno delle elezioni e dare poi forza agli esecutivi.
CinqueStelle e Lega sanno che, a questo punto, governeranno insieme, non si sa per quanto, anche se coltivano l’idea di andare al più presto ad elezioni anticipate, e giocarsela fra di loro, in un nuovo bipartitismo a due, un’alternanza grillini-leghisti, polarizzando le scelte dell’elettorato e svuotando di voti il resto del quadro politico.
Starà al Pd e a Forza Italia, ma soprattutto a una fetta di elettorato europeista, riformista e moderato, oggi sicuramente ridimensionata in Parlamento (e forse anche sottorappresentata), stabilire se in Italia vi è spazio ancora per un’alternanza riformisti-sovranisti, o se invece quello che ci aspetta, come alcuni commentatori cominciano già a ipotizzare, è il «bipolarismo populista», con il governo del Paese affidato ormai stabilmente per i prossimi anni a 5Stelle e Lega, insieme o alternativamente.
Il sistema dei partiti in Italia da ieri è ormai cambiato. Chissà se a sinistra qualcuno se ne è accorto.