Il pane più buono è quello condiviso
Il pane più buono è quello condiviso
È attuale Dante Alighieri. Per le sue espressioni, per la sua capacità di dire tutto con una sola frase. Simboli che diventano segni, incontri che educano al senso della vita. E quel bene vittorioso che irradia l'amore di Dio fa da sfondo alle storie di allora e di oggi. Guardando a questi giorni di cambiamento veloce, di riflessione sulla santità e su come sarà l'aldilà, ripercorro in particolare il canto diciannovesimo del Purgatorio, quando Dante, arrivato al quinto girone, tra gli avari, incontra proprio Papa Adriano V (1276). Il loro è un dialogo commuovente perché sincero, dal quale si trae molto insegnamento.
Non posso che riportarvi qui la confessione che questo pontefice prostrato a terra, come simbolo dell'avarizia che spinge gli uomini alla bassezza delle glorie mondane, fece a Dante: «La mia conversione, ahimè!, fu tardiva; ma appena fui eletto pontefice, subito mi resi conto di quanto sono menzogneri i beni mondani, rendono cioè la vita bugiarda, falsa. Vidi che neppure sul seggio papale il mio cuore si quietava, né in quella vita terrena si poteva salire più in alto; per cui in me si accese l'amore per la vita eterna. Fino al momento della mia elezione ero stato sì un'anima miserabile e distante da Dio, del tutto dominata dall'avidità, avara: ora qui, come vedi, sono prostrato da questo. Gli effetti dell'avarizia qui si dimostrano esplicitamente nell'espiazione delle anime convertite; e il Purgatorio non ha pena più triste e amara della nostra. Così come in vita il nostro occhio è sempre stato fisso ai beni mondani e non si sollevò mai al cielo, così qui la giustizia divina lo ha piegato a terra. E come l'avarizia spense in noi l'amore di ogni vero bene e spense la spinta ad agire virtuosamente, così qui la giustizia divina ci tiene stretti, legati mani e piedi; e staremo qui immobili e distesi quanto si riterrà per la nostra purificazione».
Ho scelto questo brano per un semplice motivo. Per comprendere che nessun possesso terreno può dare pace o felicità. Non a caso si risalta a riguardo l'affermazione dantesca: «l'avarizia soffocò nel cuore l'amore per il vero bene». La ricerca bramosa delle cose in poche parole immobilizza, appesantisce a tal punto da curvare a terra l'anima. Nell'ammissione del Papa genovese io sento vibrare in fondo la denuncia di quell'egoismo spietato, della simonia che spesso opprime le coscienze verso il basso, obliandole sempre più verso il cielo, oscurando in esse la nostalgia delle realtà celesti. Ho sempre visto in quei lacci che legano le mani e i piedi degli avari l'immagine di chi ha usato i beni solo per soddisfare i propri bisogni ed ha chiuso gli occhi sul dolore dei poveri.
Adriano V fu papa per soli 38 giorni, si racconta che fosse schiavo dell'avidità dell'oro, cupidigia che lo condusse ad una insaziabilità smodata, a quella perdizione che poi lo sommerse a tal punto da schiacciarlo a terra. Ma una volta diventato Papa si accorse che il bene era da cercare altrove, nel riavvicinarsi a Dio, nella solidarietà: «Vidi che lì il mio cuore non trovava veramente pace!». Il pane più buono, che non ammuffisce mai, è sempre quello condiviso! Quello della purificazione degli errori è un passaggio da compiere ogni giorno, dal regno del potere e della ricchezza a quello d'amore e di libertà. Vigilando sul nostro sguardo, senza tenerlo fisso sugli inganni di ciò che sembra appagarci. Altrettanto forte è l'altra immagine di questo episodio del Purgatorio, Dante chinato verso Papa Adriano. Il Papa è col volto a terra, non vede Dante, ma si accorge che gli si era fatto vicinissimo nel percepire la voce così prossima a lui. Solo allora il Papa esorta Dante ad sollevarsi, perché non meritava quell'ossequio e glielo dice così: «Alzati su, drizza le gambe, Dante! Sono servo come te, uguale a tutti davanti alla grandezza di Dio!». Sembra dica: «Non adorare me, adora Dio!». Cosa ci salva se non l'umiltà? È l'umiltà ritrovata che ci riporta a casa, a chiedere perdono, a svuotarci di tutto ciò che ci ha bloccati a terra. Il Papa piange, ansioso di essere rialzato dal cielo che lui aveva tradito amando il mondo. E Dante si congeda sentendo in quel soffrire la verità di un uomo che ha sbagliato a considerare bene ciò che bene non era. Ci sia monito di speranza, in questa settimana nella visita ai cimiteri e nel ricordo dei nostri cari.