Il malgaro con due lauree in tasca
Il malgaro con due lauree in tasca
Lo stile è rapido, sapido ed essenziale. Frutto di studi classici e di frequentazioni universitarie all'estero. A 35 anni, Francesco Gubert offre una piccola parte di sé. Sperimentatore di un mondo, l'alpeggio e la malga, come via di fuga da una scrivania e da un computer, da una vita di travet, sia pure in una delle quattro capitali della Mitteleuropa: Vienna.
Racconta: «Sono laureato in scienze agrarie. Stavo facendo il dottorato in Austria, al ministero dell'agricoltura. Mi stavo annoiando e da tempo mi chiedevo se quella fosse proprio la mia strada. Passare una vita a elaborare modelli matematici per verificare quanto possa crescere l'erba di montagna non era proprio la mia massima aspirazione. Su un portale internet di malghesi svizzeri ho trovato una malga nel cantone dei Berna che offriva un posto come aiuto-casaro. Ho chiamato, mi sono licenziato e dopo due giorni sono passato dalla scrivania e dai modelli matematici a mungere vacche in Svizzera».
La stagione elvetica è stata un banco di prova «molto positivo» e l'anno seguente il dottor Francesco Gubert (doppia laurea: a Vienna e Nuova Zelanda) ha preso al volo l'opportunità di sperimentare l'arte del casaro in una malga del Lagorai. Questa seconda esperienza di malgaro è narrata nel volumetto di 126 pagine: «Novanta giorni, diario di una stagione in alpeggio».
Certo tra le due esperienze, le differenze si sono fatte sentire: «Sono due mondi diversi. In Svizzera è andato tutto molto bene perché è un settore strutturato, tutto ben organizzato, nessun passaggio lasciato al caso. Qui da noi, la malga è l'ultimo baluardo dell'anarchia. Nel libro racconto proprio questa dimensione umana un po' ai margini della società, molto più difficile, lasciata al caso. Ti porto su le vacche e arrangiati, ci vediamo fra tre mesi. Fai quello che devi fare ma se fai qualcosa di sbagliato è solo colpa tua».
Francesco Gubert collabora anche con l'Adige dove è intervenuto in varie occasioni, segnatamente dopo il disastro dello scorso mese di ottobre con i boschi sradicati dal vento. Da agronomo ha auspicato un cambio di rotta, un recupero dei prati che la foresta negli ultimi decenni si era «mangiata».
Un'utopia?
«Tra le ipotesi di ripristino dei danni causati dal maltempo la nuova giunta provinciale ha inserito come possibilità di destinare a prato-pascolo alcune di queste superfici devastate dal vento. Sto lavorando con alcune amministrazioni comunali per portare avanti questo progetto. I critici paventano il pericolo di un ampliamento del carico di animali, tuttavia questo io non lo vedo. Vanno stabilite regole chiare e lineari: facciamo dei recuperi che sono anche paesaggistici e ambientali. Se blindiamo queste nuove superfici sull'aumento di carico zootecnico, non vedo alcun problema».
Non negherà il fatto che anche da noi è in atto da anni una «padanizzazione» della zootecnia.
«La tendenza è quella che le stalle diventano sempre di meno e sempre più grandi. Non è detto che grande sia remunerativo. Osservo infatti che ci sono numerose aziende medio-piccole che per stare sul mercato offrono e studiano nuove alternative. Riguardano trasformazioni aziendali, valorizzazione del prodotto, interessano l'alpeggio, filiere corte, il mercato locale. C'è una zootecnia su corsie differenti».
Tra le molte esperienze di «cervello di ritorno», di recupero delle radici, Francesco Gubert vanta anche l'aver vissuto due anni, da eremita, in un maso abbandonato della Valsugana. Pure questo frammento di vita sta per prendere forma di romanzo autobiografico.
Francesco è uno dei nove figli di Renzo Gubert, professore di Sociologia e già senatore della Repubblica. Il fatto di chiamarsi Gubert l'ha favorita o danneggiata?
«Fin da quando studiavo ho sempre cercato di allontanarmi dall'ambiente trentino proprio per essere emancipato da questo marchio di fabbrica. Certo sei conosciuto a livello familiare ma a livello professionale devi dimostrare quello che vali».
Nove fratelli, cinque maschi e quattro femmine, tutti laureati. La mamma, Silvia Zecchini, laureata in scienze naturali. Il capostipite, bastian contrario fin dal primo giorno in cui, studente, mise piede a Sociologia, da qualche anno si è messo ad allevare asini. Otto asini e una ventina di capre per non perdere memoria dell'origine contadina, in quel di Tonadico, valle di Primiero.
«Avrei potuto restare in Austria, dove il mercato del lavoro offriva buone prospettive, ma avevo bisogno di appartenenza, di sentire che potevo essere utile per la terra delle mie origini».
Francesco Gubert che farà da grande?
«Dopo l'esperienza in malga che racconto in questo libro, ho lavorato per cinque anni alla Fondazione Mach di S. Michele all'Adige, occupandomi di malghe, di alpeggio e di prato-pascolo. Ma tutto questo mi andava stretto. Ho sostenuto l'esame di Stato, sia pure con dieci anni di ritardo, e adesso sono un dottore agronomo, tecnico abilitato all'esercizio della professione. La parte tecnica agronomica, in verità, è quella che mi diverte di meno. Ciò che più mi piace è la promozione del prodotto locale. Siamo tutti bravi a produrre, lo siamo meno a raccontare. Sto cercando di inserirmi in quella fetta di chi il prodotto lo deve comunicare».
La padronanza perfetta di tedesco e inglese lo porta in giro per l'Europa a tessere le lodi del formaggio come alimento. Estero e cultura di prodotto. Storyteller, narratore per professione. E intanto ha cominciato col raccontare sé stesso.
«Malgaro per tre mesi: diario di una stagione in alpeggio», è l'agile pubblicazione che Francesco Gubert ha dato alle stampe (euro 9,90), e che sarà presentata stasera, venerdì 22 febbraio, ore 20.30, a Faver, in Val di Cembra