Recuperiamo la nostra vocazione umana
Recuperiamo la nostra vocazione umana
Pare che la politica non ce la faccia a vivere tranquilla. E soprattutto a far vivere tranquilli i cittadini.
Siamo usciti (per il momento) dal periodo di tensione continua alimentata dal vicepremier della Lega, quello di prima gli italiani (prima di chi e di che cosa?), quello che gli stranieri stiano a casa loro (e ancora più se hanno la pelle nera).
Quello che chi governa deve avvicinarsi al popolo per dimostrarsi uguale a lui (e possibilmente interpretarne gli istinti più bassi, dando così un giudizio del tutto negativo proprio di quel popolo che ha sempre detto di amare), quello cui l’arroganza impedisce di dare spiegazioni del suo operato (preferendo le battute assurde a un ragionamento anche solo elementare ma comprensibile a tutti). Ecco, usciti (per il momento) da quel periodo, era sembrato di poter riprendere a respirare con tranquillità, riscoprendo che si può vivere con calma, senza dover essere continuamente sul chi va là, senza schieramenti spesso verbalmente istigatori di un atteggiamento ostile se non violento. Senza paura dei fantasmi. Un nuovo modo di governare, parole più miti che non vuol dire più dimesse ma più pensate, meno preda della furia, senza il marchio della prepotenza diventato il marchio della casa.
Il mite erediterà la terra, sta scritto nel Vangelo. E il Vangelo dovrebbe essere un supporto dell’azione quotidiana per chi ostenta madonne e crocefissi e rosari. Così come la Bibbia, soprattutto per chi, avendo fatto studi classici, dovrebbe avere oltre che nozioni anche una certa attenzione e sensibilità culturale. Nel quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana ci sono queste parole: non lederai il diritto dello straniero... ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio.
È uscito recentemente un libro di Eugenio Borgna, psichiatra, dal titolo «Saggezza». In questi tempi è una parola che fa sognare. E Borgna commenta: dovremmo essere ben consapevoli del fatto che ogni volta in cui siamo stati saggi e gentili con una persona, soprattutto se fragile e malata e se straniera, abbiamo realizzato fino in fondo la nostra vocazione umana e cristiana.
Il significato può ampliarsi, anzi, in questi tempi si dovrebbe puntare con grande impegno su “la nostra vocazione umana”. Ne stavamo a poco a poco perdendo le tracce. Ma perché parlare al passato, si dirà. Ora è tutto cambiato? O è cambiato soltanto il tono della voce e un certo fair play, lasciando però sostanziose tracce di polemica e di fibrillazioni che non danno la tranquillità alla quale aspirano le persone stanche di fare la guerra con il prossimo, stanche di vedere tempo inutilmente perso, stanche di intralci che rallentano le soluzioni. Perché il Paese ha bisogno di soluzioni concrete, non di giochi di palazzo e di sgambetti e di strategie fini a se stesse, spesso ispirate a egoismi personali. Anzi, siamo già in zona Cesarini - come si usa dire nel linguaggio calcistico - per recuperare l’armonia sociale peraltro indispensabile a vivere meglio. O non è preferibile vivere meglio che vivere peggio? Con ciò ricordando il programma TV di Renzo Arbore, «Quelli della notte», con Massimo Catalano che diceva «meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati».
Ma per non sforare nel paradosso, basta la prima affermazione, che è raggiungibile purché lo si voglia. In ciò il governo, anche quello apparentemente più mite (come l’attuale rispetto al precedente), dovrebbe dare una grossa mano, smettendo di tenere sempre i cittadini sulla corda e di rivendicare primogeniture su risultati e promesse. Del resto il premier Conte aveva avvisato fin dall’inizio il Consiglio dei Ministri: basta conflittualità, basta sgrammaticature istituzionali. Con il ministro della cultura Franceschini a ribadire: bisogna ricordare che cosa succede quando si fa leva sulle paure della gente.