Rinunciare a Mario Draghi ora è una vera follia
Crisi di governo, l’editoriale del direttore dell’Adige Alberto Faustini
In una giornata politicamente paradossale come questa, viene da chiedersi cosa scriverebbe un padre del giornalismo come Eugenio Scalfari. Chi vive di carta e di inchiostro non può infatti non pensare a quel genio, a quell'innovatore, a quel liberale di sinistra, a quel fine intellettuale, compagno di banco di Italo Calvino, che è scomparso ieri e che oggi avrebbe certamente puntato la sua penna arguta e libera contro chi ha spinto Draghi alle dimissioni.
Mettendoci di fronte a un'evidenza: un pezzo di classe politica bada solo ai propri bassi interessi elettorali. E Scalfari avrebbe indubbiamente massacrato chi anche ieri ha messo i propri calcolucci davanti ai reali bisogni del Paese. Di più: l'uomo che animò il Mondo e che fondò l'Espresso, Repubblica e un altro modo di guardare e raccontare i fatti avrebbe quasi certamente parlato di pericolosa irresponsabilità.
Anche se molti ritengono che non vi siano altri aspiranti premier con questa statura (e questa credibilità) nazionale e internazionale, Draghi può ovviamente anche non piacere. Ma non serve nemmeno scomodare Scalfari e la sua capacità d'analisi per dire che far cadere un governo in un momento così delicato è semplicemente una follia. La pandemia, la crisi economica, la guerra che spiazza e spezza il mondo, un piano nazionale di ripresa e resilienza ancora da portare in porto e un contesto globale sempre più complicato, richiedono infatti conferme e continuità, non dimissioni ed elezioni.
L'orgoglio e l'allergia ai giochetti di palazzo che hanno portato ieri il tecnico Draghi alle dimissioni (respinte da Mattarella) sono più che comprensibili. Ma cedere alle pressioni del primo Conte che passa è un errore. La partita non è infatti finita, anche se qualche giocatore ha di fatto ritirato l'appoggio a sé stesso, visto che il Movimento 5stelle fa parte del governo che vuol mandare a casa. L'interesse del Paese, ancora una volta, arriva dopo gli interessi di bottega. E il partito del rancore - quasi sempre animato da chi è stato disarcionato (dalla presidenza del consiglio, da un ministero, da un ruolo di potere...) - diventa ancora l'ago malato della bilancia al centro di un sistema che rappresenta perfettamente l'Italia che cambia idea continuamente.
L'Italia che decide da che parte stare in base ad estro e convenienza. Che ama i salti nel buio più della luce. C'è solo una speranza, a questo punto. Devono capirlo anche i partiti che vogliono andare subito all'incasso (Fratelli d'Italia ancor prima del Movimento 5stelle e di altri che nascondono la manina).
E la speranza è che il presidente della Repubblica convinca Draghi ad andare avanti con una maggioranza che in fondo resta solida. Draghi non è soggetto da governi balneari o da governicchi, ma ha tutti i numeri per andare avanti senza farsi ricattare. Mattarella lo sa bene. Ed è per questo che può "trattenerlo", evitando al Paese il baratro del voto.