Funivia Trento-Bondone, quasi un secolo di discussioni e ora una data: il 2027
Dai giornali al mondo politico, il dibattito perpetuo su un’opera sempre pensata, più volte progettata ma realizzata solo nella tratta Lungo Adige-Sardagna
Si risale al trapassato remoto, addirittura al 26 giugno del 1927, nel giorno della festa di San Vigilio, quando Antonio Pranzelores consegnava alla città un volumetto intitolato “Guida di Trento colla funivia di Sardagna-Monte Corno” inaugurando la quasi secolare querelle sull’opera sempre pensata, più volte progettata e realizzata solo nella tratta Lungo Adige-Sardagna.
Spiegava il giornalista Gian Pacher sulle pagine del giornale “Alto Adige” del 23 aprile del 1980, che “Pranzelores fu un operatore culturale del suo tempo, un innamorato della città e della Trento-Alta, il termine è di sua invenzione, cioè di quel Bondone visto come spazio libero e ricreativo nel senso più ampio del termine e fra i primi a innamorarsi di quel progetto funiviario” rimasto un’ illusione. Pranzelores fu lo scrittore che celebrò “la Rupe di Sardagna, la terrazza del Ristorante Bellavista da dove si domina il grandioso panorama delle nostre montagne, i paesaggi oggi dimenticati del Monte Bondone, i suoi sentieri ormai scomparsi e quelle caserme dove si addestravano i soldati di Francesco Giuseppe” che a furia di restauri annunciati rischiano di tornare ad essere un rudere.
Venne la funivia fino a Sardagna distrutta nel bombardamento del 2 settembre del 1943 che devastò il rione della Portela proprio 75 anni fa. Che il sogno funiviario sia sempre stato nelle aspettative e nelle controversie dei trentini è ampiamente documentato. Nel marzo del 1946 appena finita la guerra, in una città devastata dalla guerra, assediata dalla fame, tormentata dalla borsa nera, con la tessera annonaria che, saltuariamente, permetteva di comperare un po’ di carne congelata, si propose con forza sulle pagine di “Liberazione Nazionale”, il giornale del Cln e sull’ “Alto Adige”, il “rilancio del Bondone” e si discusse su una funivia che partendo, a seconda delle scuole di pensiero, o dalla stazione ferroviaria o dalla zona dei Muredei, all’epoca era aperta campagna, doveva salire a Vaneze – si scriveva con la doppia “z” perché il fascismo aveva bandito la parlata trentina povera di raddoppiamenti – o al Monte Corno oppure partendo da Sopramonte la si immaginava diretta ai fantastici prati delle Viote. In quell’ anno di profonda miseria, si parò di “interesse turistico del Bondone come patrimonio da sfruttare in tutte le sue complesse, rare e varie capacità collegandolo alla città con un mezzo rapidissimo, costruendo un’attrezzatura complementare a quella cittadina con grandi ristoranti, impianti di sciovie e nuovi sentieri”.
Patrizio Bosetti propose uno stabilimento per i bagni di fieno in quelle caserme che alle Viote furono dell’esercito austro ungarico; Ernesto Conci si chiese se era meglio una funivia oppure una funicolare e l’ ingegnere Renato Marchi munito di altimetro e teodolite disegnò un tracciato che partendo dalla località Muradei prevedeva “2280 metri di lunghezza con 1100 metri di dislivello e un trasporto di 300 perone ora”. Si accavallano le proposte e l’industriale Mariano Lubich firmava con Nino Graffer il pionieri degli impianti a fune, un articolo nel quale si legge.
“Abbiamo chiesto l’Autonomia. Dimostriamo coi fatti questo nostro desiderio, la nostra volontà di fare e saper fare, che di parole se ne sono fatte anche troppe. La costruzione della funivia sia la dimostrazione tangibile del nostro risveglio”. Con l’ingegnere Renato Granello ad aggiungere: “La funivia deve incontrare il favore del pubblico e quindi deve essere fatta bene”. Era il 1946 e oggi quelle parole tornano di attualità con la ripartenza del progetto funiviario che richiede un colpo d’ala della nostra Autonomia, soprattutto uno sguardo proiettato al futuro, al turismo che, forse, verrà e magari lascerà a casa l’ automobile per scegliere la bicicletta, certo quella con il motorino elettrico che farà viaggiare al contatto del paesaggio dai prati del Vason all’incanto di Riva del Garda, di Torbole, del Benaco. Si riprese il discorso quando era sindaco Nilo Piccoli appassionato del Bondone, con Nino Graffer e Gioi Varesco il giornalista de “L’Adige” che si era comperato una casa, anzi una “casota” come si diceva in quell’epoca, al Vason.
Il 27 gennaio del 1965 si cercò di collaudare una rudimentale pista di volo alle Viote facendo atterrare e decollare fra turbini di neve, sobbalzi e scossoni, un Piper ad ala alta, munito di larghi pattini e pilotato da Enrico Abram di Bolzano. Si pensava di collegare l’aeroporto di Linate con i prati del Bondone dove doveva sorgere un centro turistico ideato dalla Sice, progetto affidato al giornalista Massimo Infante già capo servizio nella redazione di Trento del quotidiano “Alto Adige”. Da ricordare che per decenni, appunto alle Viote, rimasero alcuni ruderi di quel fantasma di villaggio solo abbozzato, mai edificato.
Era il 27 gennaio e bastò quella prova di volo per accantonare l’idea del collegamento aereo fra Linate e le Viote. Nonostante lo scarso successo dell’ esperimento, il 25 agosto si tenne a Malè un convegno sugli altiporti e uno era stato allestito in tutta fretta alla periferia della borgata per decisione di Bruno Kessler; il Pilatus Porter di Corrado Gex il famoso pilota e uomo politico valdostano atterrò e decollò per raggiungere il ghiacciaio dell’Adamello ma dopo il convegno, la proposta che avrebbe dovuto caratterizzare le Dolomiti fini nel cassetto delle memorie mentre la funivia del Bondone tornava prepotentemente di moda con la costruzione dell’Autostrada del Brennero.
Però tutto si arenò perché si capì, ma nessuno lo disse apertamente, che sarebbe stato inutile allacciare la città con prati, boschi e panorami bellissimi finché si vuole, ma senza un villaggio né alberghi né bar. Infatti negli anni Settanta era finito il turismo – o meglio l’alpinismo – con lo zaino, il “rancio al sacco”, il tuffo nell’ aria frizzante e purissima dei boschi: la gente voleva le comodità degli hotel e la gita in auto. Si capì che una funivia sarebbe stata inutile anche per lo sci alpino. In quegli anni, ogni domenica almeno 2000 fra trentini e “foresti” sciavano sul Montesel, la 3Tre, il Palon; si pensava ad una funivia con gondole da 50 o 100 persone, si calcolò che si volevano almeno 20 minuti per ogni corsa e si comprese che non si poteva sgomberare la montagna di Trento in un tempo accettabile. Così si rinunciò a costruire la funivia, ma si continuò a discutere se e come farla.
Poi alle Viote arrivò l’orso a tenere lontani i turisti, salvo quelli che gioiscono ad avvicinarlo nella speranza che il plantigrado non si inferocisca mentre tutto scivolava nel degrado dell’edificio del “Panorama” di Sardagna ( quello della Colonia Degasperi voluta da Eusebio Iori era già totale ) da dove dovrebbe iniziare il sempre annunciato e perennemente rinviato “rilancio della montagna di Trento”.
Adesso si profila una data: il 2027, in attesa dei quattrini da Roma. Insomma, giusto un secolo dall’idea di Pranzelores.