L’editoriale

L’incubo nucleare e le nostre vite

È chiaro a tutti che quella che era fino a poche settimane fa una remota possibilità ora viene vista come una “eventualità militare”...

GUERRA 10 ottobre: i russi bombardano di nuovo Kiev: morti e feriti

di Pierluigi Depentori

A Kherson, sul fronte Sud dell’Ucraina, i militari di Kiev avanzano senza sosta. Si combatte casa per casa, tra colpi di fucile e colpi di mortaio.

I morti sul campo aumentano, ma nessuno ne vuole parlare perché c’è da fare presto, bisogna costringere gli avamposti russi a indietreggiare, ad ogni costo. Mentre i soldati, alcuni poco più che diciottenni, sono con il dito sul grilletto, a Mosca c’è chi il dito sta pensando di usarlo sul pulsante della morte collettiva.

Già, perché in questa guerra cruda e terribile che abbiamo sentito “nostra” in un primo momento e che poi ci è scivolata via lentamente, superata dalle sue conseguenze economiche (il caro bollette, le materie prime alle stelle, l’inflazione che si impenna) siamo vicini ad un punto di non ritorno.

Negli ultimi giorni le notizie dal fronte sembrano essere favorevoli all’esercito ucraino. Mentre l’Europa e la Nato continuano ad arricchire la capacità di fuoco dei militari di Zelensky, i giovani soldati russi indietreggiano proprio dopo che Putin ha celebrato la vittoria nei referendum farsa delle repubbliche autoproclamate di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson.

Una prova muscolare a cui ci siamo abituati in questi mesi di conflitto, ma che ora potrebbe arrivare ad una pericolosissima svolta, con lo spettro nucleare che all’improvviso si fa dannatamente reale. Sì, perché l’annessione dei territori dei referendum farsa ha portato Putin a considerare quelle province come “ufficialmente russe” e quindi a considerare gli attacchi dell’esercito ucraino in quelle realtà come un attacco al territorio russo.

E poi, giusto l'altroieri, l’esplosione del ponte di Kerch, l’opera che collega la Russia alla Crimea, e quel tweet del consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak: «Crimea, il ponte, l’inizio. Tutto ciò che è illegale deve essere distrutto, tutto ciò che è stato rubato deve essere restituito all’Ucraina, tutto ciò che appartiene all'occupazione russa deve essere espulso».

Sembra di vederlo, lo zar russo, con la mascella tirata e lo sguardo folle, mentre si fa affiancare da ufficiali e funzionari con gli occhi bassi pronti solo a dire di sì ad ogni sua decisione. Putin che guarda il disastro delle operazioni sul campo. Putin che inizia a capire che sarebbe considerato un debole agli occhi del mondo, soprattutto a quelli dei suoi alleati e a quelli del suo popolo. Putin che vuole dare una lezione all’Occidente che non l’ha mai capito e che lo tratta senza più il rispetto che lui pensava di meritare. Putin che contempla l’opzione nucleare come una semplice mossa in una guerra che per lui e forse per l’intera Russia è già andata “oltre”.

Ed ecco che siamo al vero nocciolo della questione. Perché l’Occidente ha lasciato che il conflitto si prolungasse per tutti questi mesi senza fare nulla di concreto? Dagli Stati Uniti alla Cina, le potenze mondiali che avrebbero potuto interrompere questa escalation hanno deciso di stare di fatto alla finestra, sperando in un indebolimento complessivo della Russia e anche dell’Europa. Il presidente americano Biden ha evocato l’Armageddon nucleare venendo poi smentito dal suo staff, ma è chiaro a tutti che quella che era fino a poche settimane fa una remota possibilità ora viene vista come una “eventualità militare”.

Una guerra di nervi da affiancare alla guerra vera e propria, come se le migliaia di morti sul campo fossero soltanto uno spiacevole compromesso per arrivare ai nuovi assetti politico-economici del mondo che verrà. Dove sono finiti i tavoli di pace? E soprattutto: interessano davvero i tavoli di pace? Cosa sta facendo il segretario generale dell’Onu Guterres per fermare il massacro e impedire l’escalation nucleare? Quali sforzi sta compiendo, giorno dopo giorno, ora dopo ora?

Se all’inizio si pensava a serie ma silenziose trattative sottobanco, mentre il leader turco Erdogan faceva finta di sistemare le cose, ora non ci crede più nessuno. E in questo silenzio assordante, il rischio che un folle schiacci il pulsante sbagliato si fa ogni giorno più concreto. p.depentori@ladige.it

[nella foto, effetti del bombardamento su Zaporizhzhia di due giorni fa]

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