Liliana Segre: storia di una sopravvissuta/3
“La Scala è per Segre” è un titolo della prima pagina del Corriere della Sera dell’8 dicembre del 2023. Lo spettacolare inizio della stagione inaugurale che coincide con la festa di Sant Ambrogio, è il Don Carlo di Verdi diretto da Riccardo Chailly, per la regia di Luis Pasqual. Applausi vigorosi, calorosi, sinceri in apertura di serata sono all’indirizzo di Liliana Segre.
Dalla cronaca di Candida Morvillo. “Il presidente del Senato Ignazio La Russa sposta le tende di velluto per entrare nella bellezza del Palco Reale, si avvicina alla senatrice a vita e le fa: Siamo una coppia interessante noi due. Il tempo di avvicinarsi alla balaustra d’onore e una voce dal loggione urla via la Repubblica antifascista. Quel grido fu al centro di una polemica giornalistica. Il Presidente del Senato - il grido era diretto a lui che tiene in casa un busto di Mussolni, tutti dimenticando che il gridare dal loggione è una caratteristica della Scala. Si gridò Viva Verdi in un teatro zeppo di ufficiali austriaci in tenuta di gala. Che applaudirono con forza. Senza rendersi conto che quel Viva Verdi era una acrostico che stava a significare Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia. Ma è un attimo: dal palco spunta la capigliatura immacolata di Segre il teatro esplode nell’ interminabile applauso rivolto all’insù, verso quella donna, la vera icona della straordinaria serata mentre il maestro Chailly attacca l’Inno di Mameli con tuti in piedi a cantarlo”.
Chi ha gridato ce l’aveva con La Russa che in assenza del Presidente Sergio Mattarella era l’autorità più alta nel Teatro. C’ è anche il Sindaco di Milano Beppe Sala con la compagna Chiara Bazoli, seduta con Laura De Cicco, la moglie di La Russa. Scrive, sempre sul Corriere, Gian Mario Benzing: “Sotto la volta nera del Cinquecento spagnolo bruciano passioni trascinanti, un’amicizia eroica, un amore impossibile contro la spietatezza del potere. E l’opera verdiana incentrata sulla figura del principe Carlo, figlio del re di Spagna Filippo secondo e sul suo amore per Elisabetta di Francia, a segnare al Teatro alla Scala di Milano, il successo dell’opera inaugurale”. Certo Gli abiti rossi indossati dalla signore erano molti. Scelti con un unico scopo, un modo silenzioso perché la memoria resti vigilie sulle vittime dei femminicidi; un pensiero a Giulia Cecchettin, divenuta la figlia di ogni Italiano di buon senso e Giulia Tramontano uccisa la sera del 27 maggio 2023 con 378 coltellate. Era incinta di sette mesi, poi il suo assassino tenta di bruciarla nella vasca da bagno. In vero, il rosso non si indossa a teatro; in realtà è stata una manifestazione corale contro l’orrore di quei delitti. E il grido sull’ Italia antifascista? Segre, simbolo vivente della tragedia fascista si rammarica che nel sera famosa nel teatro famoso, non ci sia Sergio Mattarella. “Gli voglio bene come ad un fratello, mi manca tanto”. Ma quella sera, il Presidente era già ai piedi di Monte Lungo, a ridosso di Casino per commemorare qull’8 dicembre del 1943 quando il Regio Esercito attaccò i tedeschi. Con gli italiani combatteva Edo Bendetti, ufficiale del primo Reggimento Granatieri. Con i paracadutisti della Goring, c’era Mario Iori “Marmolada” per decenni gestore del rifugio “alla Fedaia”.
Restava il problema del grido Viva l’Italia antifascista del loggionista, ma anche giornalista esperto in ippica che aveva accompagnato le ultime note dell’inno nazionale con il citato grido. Ne era nata la consueta puntigliosa polemica. L’ha risolta, con la consuete bravura di linguaggio, Massimo Gramellini nella rubrica Il Caffè sulla prima pagina del Corsera. Ecco il pensiero dello scrittore: Il loggionista sostiene di essere rimasto turbato dalla presenza di La Russa e Salvini sul Palco Reale accanto alla Segre. Il modo migliore per tranquillizzarlo sarebbe stato che i due politici di destra sottoscrivessero la sua ovvia affermazione, ancora più stringente per chi, come loro, ha giurato sulla Carta che la incarna. La Russa ha affermato di non aver sentito niente e Salvini (ma è di destra? Ndr) che a teatro non sta bene urlare [senza rendersi conto] d’averlo detto nel luogo che ospita il loggione più famoso del mondo dove ogni grido viene accettato… Al netto della retorica, però, il problema resta. E resterà fino a quando quel Viva l’Italia antifascista non diventerà un modo di dire condiviso e persino banale. Come gridare Viva la mamma. Una curiosità. Ad un certo punto della storia del Carroccio - e la Lega era al culmine dei consensi - Umberto Bossi impose come inno dei Padani e di fra Giussano, guerriero certo ma anche, così si disse, frate. Il senatur si era trovato nella meraviglia dell’Arena di Verona a vedere il Nabucco restando affascinato dal Va’ pensiero. Ma l’ingresso di quel tempio della musica era tappezzato dai manifesti che annunciavano I Lombardi alla prima Crociata. Certo, Bossi era stato applaudito e un tantino contestato, de questo, forse, lo aveva confuso, ma era rimasto incantato da quell’inno e da frasi come Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate. O mia Patria, sì bella e perduta! Certo, il Giordano non è l’Adda né il fiume Oglio e quel Sionne molto misterioso, ma il grido O mia patria sembrava fatto apposta per incitare quelli del Carroccio. Convinto dai manifesti di aver gustato I Lombardi alla prima Crociata dispose che il Va’ pensiero diventasse l’inno leghista. Di certo i leghisti trentini, che erano molti, lo cantarono a perdifiato lungo il Giro al Sas di Trento. Fra lo stupore generale.