«Cionfoli» Savoi rischia grosso: accusato di eversione
Rischiano la galera a vita per aver gridato «Padania libera». Questa, chiaramente, è la versione dei due leghisti trentini accusati, insieme ad altre 32 camicie verdi del Nord Italia, di associazione a delinquere finalizzata alla banda arma. Alessandro Savoi - già segretario e consigliere regionale della Lega Nord, e Francesco Maria Bacchin, consigliere comunale rivano del Carroccio - sono infatti nella lista di coloro per i quali la procura di Bergamo ha chiesto il rinvio a giudizio. E non per aver gridato, che ne so, «Stato boia», ma proprio per eversione, reato gravissimo che, non a caso, nelle carte della procura è indicato come organizzazione militare.
L’inchiesta è una sorta di pantomima italiana. Perché si parla di fatti, e non di strage o morti ammazzati, risalenti a 18 anni fa. Ma il Paese, il nostro, ha i suoi ritmi bradipeschi ed ecco che dopo quasi quattro lustri è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per le 34 «camicie verdi», militanti della Lega Nord, accusate di aver «promosso, costituito, organizzato o diretto un’associazione di carattere militare». I fatti contestati risalgono alla seconda metà degli anni ‘90. La Guardia nazionale padana era stata costituita formalmente a Pontida, in provincia di Bergamo, il 2 giugno 1996 nel corso di uno dei raduni della Lega e a pochi mesi di distanza dal successivo settembre, quando Umberto Bossi avrebbe dichiarato, a Venezia, l’indipendenza della Padania. Un summit tra varie procure aveva inizialmente stabilito la competenza a Verona per ragioni di residenza della maggior parte delle camicie verdi coinvolte. L’inchiesta era stata così avviata dal procuratore Guido Papalia.
I big del partito, tra cui Umberto Bossi e Roberto Maroni, erano stati prosciolti dalle varie accuse perché il parlamento aveva decretato «l’insindacabilità delle condotte degli imputati parlamentari». Tra i 34 rimasti compaiono i militanti veri come Alessandro Savoi e Francesco Bacchin.
In più occasioni, negli ultimi 18 anni, i termini della prescrizione erano stati sospesi in attesa di pareri della corte costituzionale che aveva poi fatto valere l’immunità parlamentare nei confronti degli esponenti della Lega Nord seduti a Montecitorio, a palazzo Madama o al parlamento europeo. Lo scorso giugno il via al processo a Verona. Ma i giudici avevano accolto l’eccezione di competenza territoriale inviando carte e decisioni a Bergamo.
Tra i due trentini imputati, come detto, c’è l’ex segretario della Lega Nord Alessandro Savoi che non l’ha presa bene: «È dal 1996 che va avanti questa rottura di palle. Si sono spesi milioni di euro per niente, è una vergogna. Questa gente va mandata nei campi di lavoro. Abbiamo solo gridato “Padania libera”. Noi abbiamo avuto il coraggio di mettere le camicie verdi ma si continua a preferire i no global. Ci accusano di terrorismo ma in realtà noi facciamo solo politica».
Savoi parla a ruota libera, è decisamente arrabbiato: «Come Lega abbiamo messo in campo 30 avvocati ma la giustizia italiana è questa ed è fallita. La Lega chiederà i danni perché ha speso miliardi in avvocati nonostante il nostro unico reato sia stato aver gridato “Padania libera”. Siamo gente per bene e chiediamo rispetto».