Artigiani e sindacati contro il Jobs Act
Dai tweet entusiasi del premier Matteo Renzi che nei giorni scorsi annunciava i decreti attuativi del Jobs act alle reazioni tutt’altro che positive di artigiani e sindacati nella nostra provincia.
«Noi abbiamo già messo in atto tante di queste misure del Jobs act: non vedo grandi operazioni in realtà, se non d’immagine» è il primo commento di Roberto De Laurentis, presidente dell’Associazione artigiani e piccole imprese. «Il fatto che ora sia più facile licenziare, non vuol certo dire che sia più facile anche assumere. Anzi, questo è antitetico per le nostre imprese che non hanno bisogno di mettere fuori le persone e se lo fanno è soltanto perché non vanno bene per quel ruolo». De Laurentis parla di una «gran cassa» e sostiene che «il vero problema è uno solo: finché non ci sarà una detassazione ed un rilancio dell’economia posti di lavoro non ce ne saranno. Punto».
Nemmeno il fatto che siano stati «rottamati» i CoCoCo (termine usato dallo stesso Matteo Renzi per annunciare uno dei punti salienti del Jobs act) convince il presidente degli artigiani. «In talune realtà contratti come questi servivano - sostiene -. Capisco che altrove ci sia la necessità di stabilizzare, ma da noi è un processo naturale: chiunque abbia a cuore il territorio lo fa. Ma prendiamo ad esempio il settore dell’informatica, in quell’ambito servono specialisti per un determinato progetto e non a vita. Per me collaborazioni di questo tipo erano una ricchezza perché innescavano nelle aziende persone con competenze buone pro tempore. Comunque valuteremo nel tempo».
Anche sul fronte sindacale le novità che il Jobs Act introduce nel mondo del lavoro non sono viste di buon occhio. «È chiaro che con l’approvazione di questi decreti non siamo d’accordo - spiega Paolo Burli della Cgil - viene liberalizzato il licenziamento a fronte delle promesse mancate del governo. Il contratto a tutele crescenti, infatti, doveva sostituire tutte le categorie di precariato. Invece restano tutte quelle figure di partita Iva monomandatarie del lavoro subordinato nascosto». Parla di delusione completa su tutto il campo, Burli. «Per quanto ci riguarda ad esempio questa cosa dei licenziamenti collettivi renderà più complicata la contrattazione nelle aziende in crisi per trovare nuove modalità e nuove forme». Altri aspetti migliorativi che la riforma del lavoro introduce, come la nuova assicurazione contro la disoccupazione (Naspi) nella nostra provincia esistevano già, «quindi il Jobs act non migliora le cose» aggiunge Burli. «È chiaro però che sui provvedimenti sui diritti e sulle tutele dei lavoratori si fa un passo indietro».
Uno degli effetti forse meno evidenti è anche quello sugli appalti, per esempio. È il sindacalista della Cgil a sottolinearlo: «Laddove il contratto prevedeva l’assunzione per la ditta vincitrice, ora quei lavoratori rimarranno nei fatti sempre sotto il precariato perché ogni qual volta ci sarà un cambio di ditta nell’ appalto dovranno essere assunti con il contratto a tutele crescenti». Ed i contratti a progetto? «Una parte si stabilizzerà con i contratti a tutele crescenti e questo è un segnale positivo, ma molti altri no. Prendiamo ad esempio chi è andato in pensione ed ha contratti, solitamente non per grandi importi, con le aziende. Forse i loro contratti potranno essere trasformati in contratti a chiamata».
Una volta approfonditi i vari punti delle riforma, dunque, per i sindacati inizierà un nuovo capitolo: «Dovremmo fare di tutto per migliorare il Jobs act: una forma di contrasto sarà la contrattazione articolata azienda per azienda».