Vatileaks, giornalisti in tribunale «Un processo kafkiano»
È durata circa un’ora e dieci la prima udienza del processo «Vatileaks 2» che si è tenuta questa mattina nel tribunale della Città-Stato del Vaticano. Erano in aula tutti e cinque gli imputati, mons. Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio, e i giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi (autori dei due libri sullo scandalo delle finanze vaticane).
«Con questo processo il Vaticano si mette al di fuori di tutto il diritto consolidato a livello mondiale sulla libertà di espressione e sul diritto all’informazione, credo che sia espressione di una Chiesa oscurantista che non ha riscontro in quel limpido messaggio di rivoluzione dolce che papa Francesco ha espresso», attacca l’autore di «Via Crucis», Gianluigi Nuzzi, in una conferenza stampa alla sede della stampa estera.
«Io ho compiuto un’inchiesta - ha aggiunto -, il mio libro lo prova, non c’è nulla di doloso».
Alla domanda se secondo lui il processo evidenzi l’incapacità di Bergoglio di imporre le riforme e rinnovare il Vaticano, Nuzzi ha osservato: «Io non lo credo, credo che ci sia un processo di cambiamento che ha tempi più lunghi di quelli attesi da noi giornalisti. Non c’è stato uno spoil-system, c’è stata una parte dei gruppi di potere che è stata allontanata ma c’è anche qualcos’altro, l’inerzia dell’istituzione».
Il Papa poteva fermare il processo, secondo lui? è stato anche chiesto. «Dipende - ha risposto Nuzzi - da come gli è stata prospettata la situazione».
«Io sono sereno - ha sottolineato l’autore -, ho la serenità di chi ha fatto bene il proprio lavoro che è quello di informare l’opinione pubblica. Per questo, anche non capisco perchè qualcuno mi dica che il Papa era già a conoscenza di questi documenti. Non lo era il pubblico e questo è ciò che conta per la rilevanza dell’informazione.
È come se qualcuno - ha fatto notare - facesse una inchiesta sulla amministrazione americana e si rispondesse che il presidente Obama è già a conoscenza dei suoi contenuti. Questo non ha nulla a che vedere con il lavoro giornalistico».
«Non ho la più pallida idea di quello che succederà ora ma io non mi sottrarrò mai alla giustizia del mio Paese, qualunque decisione la giustizia italiana dovesse prendere», ha aggiunto Nuzzi.
«Ovviamente - ha precisato per quanto riguarda il processo apertosi oggi in Vaticano - trovo abnorme e kafkiano quello che sta avvenendo».
Nuzzi ha fatto anche sapere che cercherà di essere presente a «tutte le udienze» del processo mentre, per quanto riguarda la sua difesa, alla domanda se produrrà testimoni ha detto: «Vorrei farlo, ci sono persone che possono contribuire a ricostruire la verità».
Critico anche l’altro giornalista italiano trascinato nelle aule di tribunale vaticane. «Il decreto di citazione a giudizio che mi avete notificato non mi consente in alcun modo di difendermi, giacché non contiene, nemmeno implicitamente, la benché minima descrizione del fatto che mi viene addebitato», ha affermato in aula, presentando eccezione, Emiliano Fittipaldi.
«Si dice infatti - ha spiegato - che sono imputato di acquisizione e divulgazione di documenti e notizie riservate, ma non si dice affatto quali siano questi documenti, o quali siano queste notizie».
«Una condizione di indeterminatezza del tutto inaccettabile - ha proseguito Fittipaldi -, perché pone l’imputato nella condizione di non sapere da cosa doversi difendere, e la Pubblica accusa di poter in ogni momento estendere il riferimento della incriminazione ad uno qualunque dei documenti o delle notizie contenute nel mio libro».
«Sono dunque comparso per formulare queste eccezioni - ha affermato - e di ciò chiedo che sia dato atto a verbale».
«Ho deciso di comparire in questa udienza per doveroso rispetto nei confronti di questo tribunale - ha detto anche il giornalista dell’Espresso - che ha ritenuto di dovermi citare.
Ma nel comparire ritengo di dover esprimere la mia incredulità nel trovarmi ad essere imputato di fronte a una Autorità giudiziaria diversa da quella del mio Paese, pur avendo scritto e pubblicato in Italia il libro per il quale si pretende qui di incriminarmi».
«Nel mio Paese d’altronde - ha anche osservato Fittipaldi - la condotta che qui mi addebitate non sarebbe penalmente perseguibile, non essendomi contestato in alcun modo di aver pubblicato notizie false o diffamatorie, ma semplicemente di aver pubblicato notizie: attività protetta e garantita dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo».