Cannabis nelle urine Ma la patente è salva
Tracce trovate in ospedale dopo l'incidente. «Non provato che fosse alterato alla guida»
La sola presenza di tracce di cannabinoidi nelle urine non basta a dimostrare che le condizioni di guida dell'automobilista fossero alterate nel momento in cui si è verificato l'incidente. Morale? Patente «salva». Il giudice di pace di Cles ha infatti accolto il ricorso presentato da un cittadino, che aveva impugnato il provvedimento con cui il Commissario del governo gli aveva sospeso la patente per violazione dell'articolo 187 del codice della strada, ovvero guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.
Il ricorrente nell'autunno 2015 era rimasto coinvolto in un grave incidente stradale in val di Non con altri veicoli e in ospedale, su richiesta delle forze dell'ordine, i medici gli avevano prelevato un campione biologico al ferito per appurare se guidasse sotto l'effetto di alcol o droga. Come ricostruito nel corso del processo davanti al giudice Antonio Orpello, sui campioni erano stati eseguiti test di screening per il rilievo di cocaina, oppiacei, metadone, buprenorfina, ecstasy, cannabinoidi.
E proprio a seguito della positività a questi ultimi, era stato eseguito un accertamento tossicologico sia sul campione di urine che su quello di sangue. L'esame aveva confermato la presenza di cannabinoidi nelle urine, mentre le molecole psicoattive della medesima sostanza erano risultate assenti nel sangue, dove invece era emerso un tasso alcolico di 0,73 microgrammi per litro. Dunque oltre, benché di poco, lo 0.50 fissato dalla legge. Morale? Per l'uomo era scattata una duplice denuncia: per guida sotto l'influenza di acol e per guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. La seconda contravvenzione, oltre ad una sospensione della patente di guida per due anni, gli era valsa anche un decreto penale di condanna da 15.760 euro (poi annullata dallo stesso Tribunale di Trento).
L'automobilista, come detto, ha però impugnato il provvedimento con cui il Commissariato del governo gli ha ritirato il documento di guida per violazione dell'articolo 187 (guida sotto l'effetto di stupefacenti). In particolare l'uomo ha prodotto una relazione medica di uno specialista in tossicologia forense, che evidenziava come gli accertamenti chimico-tossicologici eseguito sui campioni biologici «consentono di escludere che il soggetto si trovava, al momento del sinistro, nella condizione di "alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope" prevista per l'applicazione dell'articolo 187 del Codice della strada». Tesi contestata invece dallo stesso Commissariato, per il quale «lo stato di "alterazione" è insito nel fatto stesso di aver assunto stupefacenti».
Ma il giudice ha ritenuto come detto il ricorso fondato. «In merito alla valenza probatoria della positività urinaria - si legge - anche la giurisprudenza di merito da anni ormai ribadisce che "la semplice presenza di tracce di cannabinoidi nelle urine del conducente di un'auto non può rappresentare, da sola, la prova dell'alterazione delle sue condizioni psicofisiche al momento dell'incidente, determinata da un'assunzione di sostanze stupefacenti in epoca tale da influire sul suo equilibrio fisico».
Il giudice ricorda infatti che «le sostanze stupefacenti possono rimanere nelle urine del soggetto che le ha assunte, anche per alcuni giorni dopo l'assunzione e tale presenza, in sé e per sé considerata, non comporta automaticamente l'alterazione delle condizioni psicofisiche previste dall'articolo 187 del codice della strada». Da qui l'annullamento del provvedimento impugnato e la restituzione della patente di guida.