La corsa in ambulanza Nato alle porte di Trento
Mamma Kahadija ora tira un sospiro di sollievo. Il piccolo Zyad sta bene e dorme tranquillo. Sul foglietto azzurro appeso alla culla, oltre ai dati anagrafici e al peso (3,007 kg), c’è anche il luogo di nascita: Trento (ambulanza).
Sì, perché il piccolo non ce l’ha fatta a nascere nella sala parto dell’ospedale Santa Chiara e per la sua mamma quella tra lunedì e martedì è stata davvero una notte da incubo con le contrazioni sempre più ravvicinate, l’attesa dell’ostetrica all’ospedale di Tione, il viaggio verso Trento in ambulanza e lì, tra le gallerie alle porte di Trento, assistita dall’ostetrica e da due volontari, la nascita del suo terzo figlio.
Mi avevano detto di andare a Trento per il controllo. Alla visita ero già dilatata di un centimetro, ma mi hanno detto che potevo tornare a casa. Io ho avvisato che abitavo lontano, ma al Santa Chiara mi hanno detto che non c’era problema
«Fortunatamente è andato tutto bene. Il piccolo è sano, ma sono stati momenti davvero brutti», racconta la donna che abita nel comune di Borgo Chiese, nelle Giudicarie.
Un figlio nato nel 2008, un secondo nel 2013, Kahadija sapeva a cosa andava incontro sabato quando ha iniziato a sentire i primi dolori.
«Il termine era per il 29 gennaio e così sabato mi avevano detto di andare a Trento per il controllo. Alla visita ero già dilatata di un centimetro, ma mi hanno detto che potevo tornare a casa. Io ho avvisato che abitavo lontano, ma al Santa Chiara mi hanno detto che non c’era problema».
Così la donna è ripartita per le Giudicarie. Domenica ancora qualche dolorino che lunedì sera si è intensificato. Alle 22 e 10 la donna ha chiamato il 118.
«Mi hanno detto di rimanere a casa, che sarebbe arrivata l’ostetrica con l’elicottero. Poi mi hanno detto che l’ostetrica sarebbe arrivata a Praso, infine che arrivava in ambulanza a Tione. Così mi hanno trasferito lì».
Una volta arrivata, l’ostetrica ha verificato la situazione. «Ero dilatata di 8 centimetri e ha ritenuto che le contrazioni fossero tali da permettermi di arrivare a Trento, all’ospedale. Così siamo partiti con l’ambulanza».
Quarantadue chilometri di curve, col dolore delle contrazioni e la paura di non arrivare in tempo.
«Ad un certo punto eravamo quasi a Trento si è rotto il sacco e il bambino è nato. Stava bene per fortuna, ma io avevo un dolore fortissimo. Colpa della placenta, ma l’ostetrica mi diceva di trattenerla, che saremmo arrivati presto al pronto soccorso. Quello è stato il momento più brutto perché mi sembrava di non riuscire, mi sentivo in pericolo».
Alla fine tutto è andato per il meglio. Mamma e bambino stanno bene e oggi potranno tornare a casa.
«Il primo bambino era nato a Trento, il secondo a Cles perché mia mamma abita a Tassullo. Questa volta avevo pensato di tornare a Trento perché ero seguita qui e perché non volevo fare perdere giorni di scuola al più grande. Visto quanto accaduto era meglio se tornavo a Cles, erano stati bravissimi».
In Italia dal 2005, Kahadija è di origini marocchine ed è sposata con un connazionale arrivato in Italia nel 2002. «E i volontari?», chiediamo pensando all’emozione e alle paure che devono aver vissuto i due. «Sono stati bravissimi e gentilissimi - dice la neomamma - cercavano in ogni modo di tranquillizzarmi anche se immagino che anche per loro non sia stato facile».
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