"Paralizzato per un errore medico"
Quando si è sentito male aveva appena 55 anni. «Probabile meningite», hanno detto i sanitari dell’ospedale di Tione alla moglie dopo i primi accertamenti. Alcune ore dopo l’uomo ha perso completamente conoscenza.
Portato a Rovereto, una risonanza magnetica ha evidenziato che si trattava di un ictus in fase troppo avanzata per essere trattato. Da allora Abderrazak Moucharraf, oggi 59 anni, vive in un letto della Casa di riposo di Condino.
È paralizzato dalla testa ai piedi. L’unica parte del corpo che riesce a muovere e con la quale comunica sono gli occhi. Abbassa le palpebre per dire sì e grazie a uno speciale linguaggio degli occhi che hanno studiato i familiari, riesce a parlare con loro. A distanza di quasi quattro anni dal drammatico malore, dopo sei lettere inviate all’Azienda sanitaria senza ricevere risposta, la famiglia, difesa dell’avvocato Michela Pacchielat, ha deciso di adire alle vie legali per chiedere un risarcimento del danno.
Nelle parole del figlio non c’è voglia di vendetta o rancore nei confronti dei medici, ma solo la volontà di far avere al padre e alla madre una somma di denaro che consenta loro di vivere la malattia in modo dignitoso, con la dovuta assistenza. «Non ce l’abbiamo con il medico che a nostro avviso ha sbagliato e infatti non abbiamo fatto causa a lui. In un certo senso lo abbiamo perdonato. Sbagliare è umano. Crediamo però che l’Azienda sanitaria debba in qualche modo rispondere di questo errore. Mio padre è sempre stato un uomo onesto e dunque anche le istituzioni devono essere oneste con lui», dice uno dei sei figli, Mouhcine, 31 anni, laureando in chimica farmaceutica a Padova.
La prima udienza della causa c’è stata nelle scorse settimane, ma il processo è stato rinviato perché l’Azienda ha chiamato in causa la compagnia assicuratrice. Il prossimo appuntamento sarà ai primi di aprile.
Ma torniamo ai fatti. «Era l’11 aprile 2013 quando mio padre si è sentito male sul lavoro. L’hanno portato a Tione e lì è accorsa anche mia madre.
Lo hanno sottoposto ad una tac e i medici inizialmente non sapevano esattamente che cosa avesse. Hanno parlato di meningite. Mia madre mi ha chiamato dicendomi i sintomi: diceva che papà sbiascicava le parole e aveva una parte del corpo paralizzata. Noi abbiamo subito pensato a un ictus perché anche il padre e il fratello di mio papà l’avevano avuto. Il fratello pochi anni prima quando era in Marocco, ma grazie alle cure tempestive era riuscito a salvarsi», racconta il figlio.
«Mia madre batteva con i pugni sulla vetrata del reparto per dire che si trattava di un ictus, ma i medici di Tione erano convinti che non si trattasse di quello. Poi la situazione è precipitata. Mio padre ha perso conoscenza ed è stato portato con l’ambulanza a Rovereto. Erano ormai le 23 e quando è giunto e lo hanno sottoposto a risonanza magnetica i medici hanno detto che era troppo tardi per sottoporlo alla terapia per sciogliere il trombo», racconta ancora il figlio. Da allora l’uomo vive paralizzato in un letto d’ospedale. Ha subito una tracheotomia e si alimenta attraverso una peg. «Siamo tornati dal medico di Tione che aveva sbagliato la diagnosi. Era in lacrime», racconta il figlio.
«A Condino mio padre vive alla casa di riposo che fortunatamente si trova proprio di fronte a casa. Mia mamma sta con lui tutto il giorno e poi ci alterniamo noi fratelli. Io studio a Padova, poi c’è la mia gemella che è sposata e ha già tre bimbi, due fratelli che lavorano in Norvegia, uno in Francia e poi la sorella più piccola che studia Economia», racconta Mouhcine.
Una famiglia molto unita che è stata travolta da questo enorme dramma e che si è stretta attorno a questo padre malato. «Ci avevano detto che sarebbe morto entro tre giorni. E invece, fortunatamente, è ancora con noi. Continua a lottare grazie alla fede e alla famiglia. Le sue preoccupazioni sono vederci laureare, trovare un lavoro, sposarci, i nipoti. Vuole sempre essere aggiornato su tutto quello che ci succede».
Abderrazak ha contatti continui con i suoi familiari grazie ad un tablet posizionato davanti al suo letto.
In automatico, quando riceve una chiamata via Skype, il video si apre e i familiari possono comunicare con lui. La sua mente non è stata minimamente intaccata dall’icuts. «Oltre a sì e no. comunichiamo facendo lo spelling delle parole. Quando pronunciamo la lettera che lui vuole dire abbassa le palpebre. Così lettera per lettera fino a formare intere frasi. Certo il sistema è lento ma è l’unico possibile perché non possiamo utilizzarne altri».
I contatti via Skype con i figli sono quotidiani, anche più volte al giorno. La domenica mattina ci sono poi le visite degli altri parenti, soprattutto i fratelli della moglie Rachida. «Sono sposati da 32 anni e il loro è un grandissimo amore. Mia mamma non lo vuole mai lasciare solo perché lui non è in grado di avvisare se qualcosa non va e quindi anche se in casa di riposo l’assistenza è ottima lei vuole esserci sempre e quando non c’è lei c’è qualcuno di noi. Io infatti non sono preoccupato per mio papà, che vedo sereno, ma per mia mamma che ogni anno è sempre più stanca».
Sognava di vedere i loro figli sistemati e poi di ritornare in Marocco questa coppia arrivata in Italia nel 1989. Lì avevano anche acquistato una casa dove speravano di potersi godere la pensione. «Invece credo proprio che dovranno rimanere qui - dice il figlio -. Per mio padre non c’è nessuna speranza di poter migliorare, ma nonostante tutto è sereno. Trascorre le giornate circondato dall’affetto dei suoi cari, guarda la televisione, si tiene aggiornato».
Abderrazak ha seguito le recenti vicende del suicidio assistito del dj Fabo e anche commentato con il figlio la trama del libro e film «Io prima di te». Entrambi i protagonisti di queste vicende hanno scelto e voluto morire nonostante avessero maggiori possibilità di comunicare con l’esterno rispetto a lui. «Eppure mio papà non ha mai manifestato la volontà di morire. È convinto, grazie alla fede, che il destino ha voluto così. Non è contento di quanto successo, ma è sicuro che la vita vada vissuta, anche così».