Risarcito dopo 17 anni di cause per la caduta dal melo
Dopo 17 anni e cinque processi, la causa civile intentata in seguito ad un incidente sul lavoro da un raccoglitore di mele contro il titolare dell'azienda agricola ancora non si è conclusa.
Ma il suo destino è segnato: i giudici della Cassazione, dove il contenzioso è approdato per la seconda volta, hanno stabilito che il lavoratore ha ragione e deve essere indennizzato (la cifra richiesta è di 11.358 euro) questo perché il datore di lavoro, pur non avendo violato la normativa di settore tesa a prevenire gli infortuni in campagna, non aveva adottato la migliore tecnologia all'epoca disponibile per evitare rovinose cadute a terra da parte di chi era addetto alla raccolta delle mele.
Per meglio comprendere i contorni di questa vicenda, ancora di attualità visto che gli infortuni in agricoltura sono sempre in agguato, occorre fare un lungo passo all'indietro.
Torniamo al 4 ottobre del 2000 quando il dipendente dell'azienda agricola, regolarmente assunto con contratto a tempo determinato, cadde da una scala a pioli mentre raccoglieva le mele.
Il raccoglitore perse l'equilibrio quando si trovava alla massima altezza facendo un volo di una decina di metri. Le conseguenze furono pesanti: il dipendente subì un trauma lombare con frattura e prognosi di 30 giorni.
Il lavoratore sosteneva che la responsabilità per l'infortunio era da addebitare al titolare dell'azienda agricola che non aveva messo a disposizione le necessarie attrezzature per prevenire il rischio di caduta dagli alberi da frutto. Sia in primo, sia in secondo grado, il ricorso veniva rigettato poiché per i giudici l'infortunio era da addebitare ad una imprudenza da parte del raccoglitore.
Quest'ultimo non si diede per vinto: fece ricorso per Cassazione che - nel frattempo erano trascorsi 9 anni dal fatto - annullò la sentenza della Corte d'appello rinviando gli atti per un nuovo giudizio di fronte alla corte d'appello, sempre di Trento ma in diversa composizione. Non fu l'ultimo giudizio visto che il dipendente impugnò anche quella sentenza e tornò - siamo così arrivati al 2017, quasi 17 anni dopo i fatti - per la seconda volta in Cassazione che ancora una volta ha dato ragione al lavoratore agricolo (rinviando per il sesto, e teoricamente neppure ultimo, processo della serie di fronte alla Corte d'appello di Venezia).
Il ricorrente lamentava di non essere stato dotato di cintura di sicurezza, presidi di sicurezza all'epoca innovativi. Argomento ritenuto fondato dalla Suprema corte. «L'imprenditore - si legge su una sentenza poi rimbalzata su molti siti web di giurisprudenza - anche indipendentemente da specifiche disposizioni normative, è tenuto a porre in essere tutti gli accorgimenti e le misure necessarie a evitare il verificarsi di lesioni di beni primari come la salute e l'integrità fisica, secondo un criterio di massima sicurezza tecnologicamente possibile.
Cosicché, la violazione dell'obbligo si determina non solo quando si omette di adottare misure tassativamente previste dalla legge, come nel caso in questione, ma anche quando si omette di adottare ogni misura che sia esigibile dal lavoratore secondo le regole di correttezza e buona fede». Come dire che sulla prevenzione degli infortuni non si risparmia: bisogna sempre fornire ai lavoratori i migliori presidi di sicurezza disponibili.