Querela della Ferrario contro Cia, i giudici assolvono il politico
Assolti Claudio Cia e Claudio Taverna: questa la decisione del tribunale di Trento, in merito al processo per diffamazione dopo la querela da parte della dirigente generale del Dipartimento della conoscenza Livia Ferrario. A far scattare le accuse della Ferrario una frase di un comunicato stampa: «In questa vicenda abbiamo pure visto dirigenti provinciali assecondare la volontà del politico di turno a favore di Tizio piuttosto che di Caio, assecondando interessi privati, anziché curarsi di applicare la legge nel rispetto del bene comune». Una frase che, pubblicata su un sito online di cui Taverna è l'ex direttore responsabile, secondo i giudici non è diffamatoria.
LA QUERELA DI LUGLIO
Scintille in aula nel processo per diffamazione che vede imputati il consigliere pronviciale di «Agire per il Trentino», Claudio Cia e Claudio Taverna, l'ex direttore responsabile del sito la Voce del Trentino, querelati dalla dirigente generale del Dipartimento della conoscenza, Livia Ferrario. Un'udienza che ha visto salire sul banco dei testimoni anche il presidente della Provincia, Ugo Rossi. A mettere nei guai Cia un comunicato stampa del gennaio 2017 che riguardava l'assegnazione delle cattedre dei docenti della scuola trentina, dopo il braccio di ferro sull'esclusione dei diplomati magistrati, mentre a Taverna viene imputato un omesso controllo. A fare scattare la querela, in particolare, questa frase: «In questa vicenda abbiamo pure visto dirigenti provinciali assecondare la volontà del politico di turno a favore di Tizio piuttosto che di Caio, assecondando interessi privati, anziché curarsi di applicare la legge nel rispetto del bene comune».
«Dichiarazioni lesive della mia professionalità e del ruolo che rivesto - ha detto in aula la dirigente, assistita dall'avvocato Paolo Bonora - Da 30 anni lavoro con la Provincia ed ho sempre agito nel rispetto della legalità, della trasparenza e diligenza». Livia Ferrario ha ripercorso le tappe del lungo contenzioso, che si è concluso con il «ko» dei ricorrenti al Consiglio di Stato e l'esclusione dei diplomati magistrali dalla graduatorie. Ma è su quanto avvenne nell'agosto 2016, quando i giudici amministrativi della capitale avevano accolto la richiesta di sospensiva del provvedimento e ordinato di inserire i diplomati in graduatoria, che la difesa ha affilato le armi. La dirigente Ferrario ha sottolineato che, dopo l'ordinanza del 5 agosto, la Provincia aveva iniziato subito le procedure per adeguarsi. Una tesi contestata dalle difese - l'avvocato Silva Fronza per Cia e l'avvocato Angelica Domenichelli per Taverna - che hanno invece richiamato l'attenzione sulla seconda ordinanza, emessa il 3 novembre 2016, con la nomina di un commissario ad acta.
Un provvedimento che sarebbe scattato proprio per la mancata ottemperanza di piazza Dante al primo e che equivaleva al «commissariamento» della scuola trentina. «No, noi abbiamo ottemperato nei tempi indicati», ha replicato la dirigente, ricordando che la seconda ordinanza fissava solo il termine. Tanto che il 12 dicembre 2016, quando il commissario ad acta venne a Trento, «se ne è andata, dal momento che non aveva alcun titolo per accedere». A confermare la bontà dell'operato della Provincia è stata citata anche l'ordinanza del 24 febbraio 2017, in cui il Consiglio di Stato dava atto dell'avvenuta ottemperanza. Un provvedimento che l'avvocato Bonora ha chiesto di acquisire. «Ma qui si parla della conclusione del procedimento giurisdizionale», ha replicato l'avvocato Fronza, opponendosi e ricordando che l'articolo si riferiva alle fasi esecutive delle due ordinanze. Ma il giudice Giuseppe Serao ha ammesso il documento.
Tra i testi citati dalla difesa anche Mauro Pericolo, segretario del sindacato autonomo Delsa, che aveva promosso il contenzioso: «La seconda ordinanza? Arrivata perché la Provincia non aveva ottemperato alla prima», ha detto, aggiungendo che «al commissario ad acta non era stato consentito di prendere servizio». È quindi toccato al governatore Rossi, citato sempre dai legali della difesa. Rispetto alle due ordinanze, è stato meno netto, ipotizzando che il commissario ad acta potesse essere salito a Trento «per sapere come si ottemperava. Ma sono tranquillo - ha specificato, al termine di un piccato scambio di battute con gli avvocati - perché so che le due ordinanze sono state ottemperate e questo è stato sancito dal Consiglio di Stato. Quello che conta è che un organo superiore ha stabilito che non c'è stata alcuna lesione dei diritti e questo mi conforta anche sull'operato dei nostri funzionari».