La mamma di Sofia, la bambina morta di malaria: «Ancora nessuno ci ha detto: abbiamo sbagliato»
La festa nel giardino di casa, a Piedicastello, la torta per il quarto compleanno. Era il 24 agosto 2017. La piccola Sofia Zago, la festeggiata, pur molto debole era riuscita a mangiare una fettina di dolce. Un lampo di felicità in una vicenda drammatica: la bimba morì qualche giorno dopo, il 4 settembre, all’ospedale Civile di Brescia, dove era stata trasferita d’urgenza da Trento.
«Mia figlia è entrata al Santa Chiara con il diabete ed è uscita con la malaria. È morta e nessuno ha ammesso l’errore». Francesca Ferro, la mamma della piccola Sofia, ricorda i giorni del dolore, lo shock per la scoperta della malattia, la difficoltà ad andare avanti quando si sprofonda nell’abisso della disperazione. A due anni dalla scomparsa della piccola “Sofi”, come la bimba veniva chiamata in famiglia, il giudice per le indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione e ha disposto ulteriori accertamenti. Quattro sono le persone indagate: tre infermieri e un medico non più in servizio.
La reazione della famiglia.
«Come eravamo rimasti stupiti della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, così siamo convinti che la decisione del giudice di proseguire le indagini sia giusta. Giusta al di là di come andranno gli accertamenti - evidenzia mamma Francesca Ferro - Siamo speranzosi. Questo è un periodo difficile per noi, sono i giorni in cui Sofi è stata ricoverata, i giorni in cui è successo tutto. È dura rivedersi sui giornali, ma è giusto andare avanti perché riteniamo che sia un errore lasciare nell’indifferenza la morte della nostra bambina. Il dolore che proviamo rimane, accentuato dall’indifferenza dimostrata dall’Azienda sanitaria».
L’errore involontario.
«Nelle dichiarazioni fatte sembrava quasi che quanto accaduto a Sofia sia un caso a sé. È stato detto che in ospedale a Trento è stato fatto tutto ciò che si doveva fare, non c’è stata ammissione di aver sbagliato. Ma io c’ero, so come è andata, so che c’è stato un errore e non è stato volontario: anzi, il personale è sempre stato molto gentile, cortese, disponibile».
Mamma Francesca ricorda bene un giorno e un episodio. «Quando siamo stati trasferiti dall’ospedale di Portogruaro a quello di Trento, mia figlia aveva l’agocannula. Era il 17 agosto quando a Sofia è stato fatto un prelievo, l’unico prelievo, avvenuto nello stesso ambulatorio nel quale, come è emerso dopo indagini e interrogatori, poco prima era stato fatto il prelievo alla bambina con la malaria. In quell’occasione l’infermiera non riusciva a pulire l’agocannula, allora ha preso una soluzione di acqua fisiologica. La prima volta non ce l’ha fatta e forse è stato lì il contagio. La seconda volta l’infermiera è riuscita a fare il prelievo. Noi abbiamo esultato, perché era stata evitata a Sofi una ulteriore sofferenza. Alla mia bimba era stato appena diagnosticato il diabete, continuavano a farle punturine e lei piangeva e piangeva e piangeva. Evitarne una sembrava un miracolo e anche le infermiere erano felici».
Le ipotesi del contagio.
«Ho dei flash di quanto accaduto, posso solo fare supposizioni. Non posso provare odio, ma provo rabbia. Perché c’è stata negligenza. Capisco che è stato qualcosa di involontario, si parla di omicidio colposo, ma mia figlia è morta: è entrata con il diabete ed è uscita con la malaria. E non si può continuare a dire che quanto è avvenuto è impossibile. Il ceppo della malaria di mia figlia era lo stesso della bimba malata di malaria ricoverata nello stesso reparto in quei giorni. C’è la documentazione che lo dimostra. Si è parlato di un contagio avvenuto a causa dell’epistassi della bimba con la malaria. Ma io ero in quei giorni sempre accanto a Sofi, non la mollavo un attimo» spiega la mamma.
«Dicono che la malaria possa essere trasmessa con grandi quantità di sangue e per questo i bimbi non vengono isolati. Ma allora bisogna ipotizzare, e secondo me è assurdo, che mia figlia sia venuta a contatto con sangue infetto proprio nel punto in cui aveva una lacerazione della punturina della macchinetta del diabete. Ma, se basta una quantità minima di sangue, come possono lasciare tutti i bimbi nello stesso reparto?». Mamma Francesca ha cercato delle risposte. «Nei mesi successivi alla scomparsa di Sofi, nel mio dolore cercavo un perché. Mi dicevo: se c’è stato un errore devono controllare le procedure, anche a livello nazionale».
L’ultimo compleanno.
La voce di Francesca Ferro si incrina ricordando gli ultimi giorni della sua bimba. «Sofia era in pediatria a Trento, nella stanza in fondo assieme ad un altro bimbo a cui era stato diagnosticato il diabete. Avevano fatto amicizia, giocavano insieme. Quando Sofi è stata dimessa abbiamo festeggiato il compleanno, il 24 agosto. Abbiamo fatto la festa nel giardino. Lei era felice, seppur debole era riuscita a mangiare la torta. Qualche giorno dopo è comparsa una febbre altissima, a 40-41 gradi. Febbre altissima che poi scompariva. Abbiamo poi scoperto che questo è tipico della malaria, ma allora chi poteva saperlo? Mi ricordo che ero agitata, che ero già sconvolta per la diagnosi di diabete e che a metà settimana ero andata al pronto soccorso. Era giovedì, a Sofia avevano dato un antibiotico. Venerdì la febbre era sparita. Ma sabato siamo di nuovo corsi in ospedale perché Sofi stava male. Le davamo l’antibiotico e lei diceva: “Mamma basta...”. Queste sono state le sue ultime parole».
La diagnosi di malaria «Mi sembrava di essere in un’altra dimensione, dicevo che era impossibile che si potesse trattare di malaria. Ero in stato di shock, quando hanno trasferito Sofia a Brescia (sabato sera, ndr) avevo percepito che non c’era più nulla da fare. La notte ha avuto un arresto cardiaco e respiratorio. Erano le 5 del mattino ero in sala d’aspetto e avevo bussato. Sentivo che era successo qualcosa. Le avevano iniettato l’antimalarica, le si erano abbassati i valori: Sofia è morta per encefalopatia. Aveva la malaria encefalica, uno dei più rari e gravi tipi di malaria, quello della bimba ricoverata al Santa Chiara».
Il dolore e la rabbia.
«Ho la forza per raccontare perché mossa dalla rabbia, è giusto che la gente sappia cosa sia successo. A volte sembra che quanto è accaduto sia colpa nostra. Una situazione irreale. Non voglio vendetta, ma credo che chi ha commesso l’errore non dovrebbe più fare quel lavoro. So che non c’è stato nulla di volontario, che si parla di omicidio colposo, ma forse sarebbe il caso che chi ha sbagliato non svolga più quella mansione. È da due anni che ci penso, ho passato tutti gli stati d’animo possibili, ora con una leggera calma e lucidità posso dire di essere arrabbiata con la struttura ospedaliera. Anche quando è stata inaugurata la nuova ala della pediatria dedicata agli infettivi, l’Azienda sanitaria ha parlato della storia di Sofi con distacco. Capisco che ci sono persone che stanno soffrendo, che vivranno con un senso di colpa, ma hanno sbagliato loro, non abbiamo sbagliato noi». Mamma Francesca racconta le difficoltà che ha passato. «La mia forza arriva da Sofia. Ho deciso subito di farmi aiutare. Non è facile trovare la strada per la sopravvivenza. Quando si perde un figlio non si può spiegare il dolore. Lo può capire solo chi lo ha provato, ma anche chi lo prova agisce in maniera diversa. La mia motivazione l’ho trovata nel fare. C’è l’associazione per ricordare Sofia, presto faremo un musical. Tutto andrà in beneficienza. Il dolore non va lasciato in un cassetto ma va affrontato».
L’associazione.
«C’è stato un risarcimento, è vero. Ma ho cercato di dare un senso anche a questo - conclude mamma Francesca - Ho pensato che potesse servire per l’associazione (”Gli amici di Sofi”, creata dei genitori di Sofia per promuovere iniziative di solidarietà e creatività a favore dei bambini, ndr). In questi due anni ci sono state le malelingue: pensano che la nostra bimba abbia un valore? Ma ho imparato a non curarmi di loro. Sofia è sempre vicino a me, è in una dimensione parallela. Lei mi dà tanta energia. E poi c’è mio figlio più grande, che è fantastico».